Napoli che oggi vorrebbe gridare il suo dolore, è costretta a ingoiarlo e a piangere invece lacrime silenziose. Così questo dannato 2020 aggiunge, al supremo, imparagonabile strazio di tante morti da Covid, il dispiacere di non poter vivere nemmeno il momento del cordoglio corale per Diego. E la città che lo ha incoronato imperatore del calcio e simbolo del riscatto di tutti i Sud del mondo, e che da lui è stata incoronata con i due memorabili scudetti, deve chiudersi ora in un lutto senza parole.
Brillava di luce per tutta la notte lo stadio che il Mattino ha proposto d’intitolare a lui, facendo il miracolo di mettere d’accordo per una volta, e per giunta istantaneamente, le istituzioni cittadine. Se un aereo lo avesse sorvolato, quelle luci avrebbero proiettato verso l’alto la presenza viva di un ricordo incancellabile. Di una grazia infinita, leggera e insieme poderosa come la potenza impareggiabile dei suoi tiri in porta. E lo stadio ha palpitato per il raduno spontaneo dei tifosi che all’esterno, guardati a vista dalla polizia, dietro le mascherine hanno intonato mestamente il repertorio di slogan e canti per Diego, applaudendo alle stelle, agli «angeli che giocano con lui» e inalberando l’ultimo stendardo di saluto: «Sei un re immortale, il tuo vessillo non smette di sventolare».
Erano qualche centinaio i tifosi autoconvocatisi con un tam tam sui social, distanziati, composti, riuniti intorno alla bandiera con l’effigie preferita di giovane indio non ancora rovinata dagli stravizi di cocaina e alcol, quella rimasta nella mente e nel cuore di tutti. Hanno deposto nella amara notte napoletana fiori e lumini accesi ai piedi della cancellata che circonda lo stadio, in una veglia senza clamori.
Niente raduno in piazza, quindi: e sì che il dolore dei napoletani si sarebbe incorniciato in modo appropriato nella bella piazza del Plebiscito, come avvenne con Pino Daniele nell’indimenticabile flash mob trasversale che mobilitò a sorpresa napoletani di ogni età e ceto sociale.