Marchionne, la rivoluzione del manager in pullover: «Noi, figli d’Abruzzo siamo gente tosta»

Sergio Marchionne
Sergio Marchionne
di Giorgio Ursicino
Lunedì 23 Luglio 2018, 01:03 - Ultimo agg. 25 Luglio, 13:58
5 Minuti di Lettura

Manager duro, persona dolce. Un uomo profondo, ricco di cultura che, seppure al lavoro dedicava un’energia e un tempo incredibile, aveva un’infinità di interessi. Esperto d’arte, amante della musica, appassionato di sport. Quando non volava preferiva stare a casa sua e di accoglienti residenze ne aveva più di una, tutte personalmente arredate insieme alla compagna Manuela.

LEGGI ANCHE ----> Morto Marchionne a 66 anni

Un condottiero con carattere forte e personalità travolgente, «illuminato» come con perfetta sintesi l’ha definito John Elkann. Una perdita umana e professionale che sarà difficile rimpiazzare. Personaggio di straordinaria sensibilità e dalla radici profonde, Sergio. Sarà stato un caso, ma la sua ultima apparizione pubblica sul ponte di comando è avvenuta in un’atmosfera vicina alla sua infanzia, a ricordi che nella sua mente non si sono mai sbiaditi e che gli hanno dato quell’incredibile forza che lo ha accompagnato per tanti anni.
 

 


TRA LE DIVISE
Faceva caldo quel giorno (era lo scorso 26 giugno) e il presidente del Cavallino era già stato a Maranello per coccolare la sua amata Ferrari. Per nulla al mondo, però, avrebbe rinunciato a quel blitz a Roma per conoscere il nuovo comandante dei Carabinieri, Giovanni Nistri, e consegnargli una Jeep Wrangler per gli impegni operativi dell’Arma. «Quando vedo queste divise mi sento a casa», aveva ripetuto ricordando per l’ennesima volta che papà Concezio era un maresciallo della Benemerita e che aveva conosciuto mamma Maria quando prima della Guerra prestava servizio in un’Istria ancora italiana.

LEGGI ANCHE: Manuela Battezzato, chi è la compagna di Marchionne

Un sorriso dolce e uno sguardo soddisfatto nel parco dei Parioli. Solo il volto era più stanco, insolitamente segnato, ma nulla faceva presagire il dramma che di lì a poche settimane si sarebbe consumato. Traspariva dolcezza quando in privato parlava dei genitori: «Papà aveva i gradi, ma a casa comandava mamma». Una signora assai tosta, che aveva perso padre e fratello per le vendette di fine Guerra e in qualche modo aveva indirizzato la vita di Sergio con l’emigrazione in Canada per seguire la sorella Anna precedentemente trasferita in Ontario.

Sergio aveva legami profondi con la terra in cui era cresciuto fino a 14 anni: «Non ho mai visto un abruzzese tirarsi indietro, la gente di questi luoghi non si arrende mai», dichiarò ad Atessa nella provincia dove era nato annunciando il rilancio di un altro stabilimento. Fabbriche a cui teneva tantissimo, che aveva profondamente ristrutturato per produrre veicoli di qualità e, soprattutto, far lavorare gli operai in condizioni migliori. Un approccio spontaneo, ma anche strategico che gli ha consentito di avere un rapporto speciale con dipendenti e sindacati. L’uscita di scena è una grande perdita per il mondo Exor-Fca, ma sarà una mancanza rilevante per il Paese intero. Marchionne era infatti uno dei leader d’azienda più capaci e famosi, un testimonial perfetto per il Belpaese di cui andava fiero, nonostante le critiche piovutegli addosso quando sotto la sua regia cuore e mente del gruppo vennero trasferiti a Londra e Amsterdam. Non era ancora anziano e tanto avrebbe potuto dare ancora. I potenti della terra li conosceva tutti e di loro raccontava gag simpatiche.

«Sergio, vuoi prenderti la Chrysler senza spendere un dollaro?», esclamò Barak Obama dopo che i suoi collaboratori gli avevano illustrato i dettagli del contratto. Pronta la risposta del manager che sapeva di essere l’unico acquirente: «Amico mio, se hai offerte migliori siamo pronti a lasciare...». Poi Sergio saldò i debiti, riassunse tante persone e salvò la Chrysler. Questo lo sa bene Donald Trump, entrato subito in sintonia con Marchionne: «Sergio è il mio manager preferito». L’ad di Fca aveva una capacità fuori del comune di leggere nella testa e nel cuore delle persone. Difficilmente sbagliava. Un talento innato. Era convinto che Trump avesse in parte ragione sulla storia dei dazi delle auto ed aveva invitato tutti ad evitare pericolose ritorsioni. Aveva aperto un dialogo sul quale stava confluendo anche Angela Merkel e, se la malattia non lo avesse piegato, sotto la sua regia un accordo era alla portata.

«Non è la fine del mondo, stiamo parlando, penso che entro un mese avremo delle novità», aveva dichiarato Marchionne meno di 30 giorni fa. Agli amici raccontava che la cancelliera tedesca in un’occasione pubblica aveva dichiarato: «Io e Sergio ci conosciamo bene, abbiamo passato una nottata insieme...». Si riferiva chiaramente al lungo colloquio in cui il manager spiegava la sua offerta per acquisire Opel. Sergio era imbattibile nel corpo a corpo e nella finanza, in pochi come lui conoscevano le dinamiche di Wall Street. Capacità da cui, sornione, però prendeva le distanze: «Di queste cose non me ne intendo, chiedetele ai banchieri, io sono un metalmeccanico...». Ma grande era il suo rispetto per il mercato: «Le Borse hanno sempre ragione, se pensiamo che i nostri titoli siano sottoquotati la colpa è nostra, perché non siamo riusciti a far capire il loro valore». Aveva un’abilità straordinaria nel far apprezzare le aziende affidate a lui ed era insuperabile negli spin-off, cioè nelle divisioni della galassia in più pezzi senza che fosse sacrificato il valore del satellite-madre.

IL NEGOZIATORE
Insuperabile era nelle trattative: da quella mitica con Richard Wagoner della GM a quella con la squadra di Obama per la Chrysler, fino a quella con i sindacati, americani o italiani che fossero. Con chiunque dialogasse, riusciva a stabilire un feeling. Unico anche il rapporto con i suoi collaboratori che gli hanno sempre riconosciuto leadership e grande intuito. Ascoltava tutti, ma non esitava a dividere le strade con chi non fosse convinto del percorso intrapreso.

Ha licenziato tanti manager, ma nella “squadra” molti sono rimasti tra quelli della prima ora. Con Manley lavorava dallo sbarco in Chrysler (2009), con altri il rapporto è ancora più antico e il rispetto reciproco sempre totale nonostante gli alti e bassi di tutte le relazioni. Alfredo Altavilla, Stefan Ketter, Harald Wester, uomini che insieme ai nuovi vertici porteranno avanti la sua eredità.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA