Napoli: «Intercettazione poco chiara», così è tornata libera Maria Licciardi

Napoli: «Intercettazione poco chiara», così è tornata libera Maria Licciardi
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 17 Ottobre 2019, 00:00
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Hanno riascoltato quel file audio e sono rimasti d’accordo su una cosa: la parola «scigna» non è chiara, non può essere accettata la trascrizione finita agli atti. E non è questione di poco. Già perché quella parola - ‘a scigna - sta per impero criminale, quello dei Licciardi di Secondigliano, un cartello che farebbe capo a Maria, conosciuta come la «piccolina», ma indicata nel corso di una intercettazione anche come «la scimmia», che era poi il soprannome del fratello Gennaro, morto in carcere negli anni Novanta.

È uno dei punti che ha spinto, la scorsa estate, il Tribunale del Riesame a cancellare l’ordine di arresto che inseguiva Maria Licciardi, ritenuta la madrina della camorra napoletana. Paragonata alla «Chanel» in stile Gomorra, indicata dalla Dda come il vertice dell’attuale cupola dell’alleanza di Secondigliano, Maria Licciardi è tornata in possesso della propria libertà di movimento, dopo essere stata inseguita - da latitante - all’ordine di arresto firmato mesi fa nel maxiblitz voluto dalla Dda di Napoli. Qualche numero: 214 indagati, 126 arresti (che in gran parte hanno retto alle valutazioni del Riesame), con una traiettoria investigativa che punta ad affermare un punto su tutti: a Napoli, al di là di episodi di violenza apparentemente estemporanei, esiste una cupola formata dai Licciardi, dai Contini, dai Mallardo e da altri clan, che si contrappongono da sempre all’altro cartello egemone, quello dei Mazzarella. Una ricostruzione che non passa, quando si analizza la posizione di Maria Licciardi. 

Ma quali sono i punti del rigetto? Cosa ha spinto i giudici del Riesame (Gabriella Pepe, Cimma e D’Auria) a revocare l’ordine di arresto a carico della donna? Sono due gli episodi su cui - secondo i pm - Maria Licciardi avrebbe speso il proprio ruolo di presunta madrina in seno ai vertici dell’Alleanza: in un primo momento, ci sarebbe stato il suo interessamento in favore di una vittima di estorsione, per la quale avrebbe chiesto e ottenuto la rateizzazione di un debito; in un altro episodio, invece, «avrebbe richiesto l’intervento di Giuseppe Ammendola (presunto esponente della camorra del Vasto) al fine di ottenere da tale Carmine Ottaviano il pagamento di un credito». Un intervento che avrebbe poi scatenato Ammendola, «che aveva autorizzato i suoi accoliti ad utilizzare violenza fisica nei confronti di Ottaviano, anche per compiacere Maria Licciardi».

Sul primo caso, i giudici si mettono all’ascolto. L’identificazione non è univoca - come, per altro sottolineato dal gip - dal momento che la Maria in questione potrebbe essere anche l’altra indagata per fatti di camorra, Maria Aieta. Scrivono ora i giudici: «Il collegio ha ascoltato il file audio relativo a tale conversazione e, dall’ascolto dello stesso, non è dato percepire il ‘a scigna, che dovrebbe portare alla certa individuazione della Licciardi». Si tratta di un punto in cui sono state accolte le conclusioni difensive del penalista Dario Vannetiello, che aveva battuto - più in generale - sulla mancanza di riscontri diretti a disegnare la responsabilità della Licciardi. Scrivono ora i giudici: «Nonostante la mole di intercettazioni, non vi sono conversazioni che vedono quale interlocutrice la Licciardi. In ogni caso, dalle intercettazioni non emerge un ruolo attivo della donna all’interno della Alleanza, anzi, non si comprende in che cosa consista il suo apporto o il suo contributo alla stessa. Per altro non vi sono nè episodi, nè conversazioni che lascino supporre che la Licciardi sia a capo del’omonimo clan: non vi alcun riferimento ad azioni poste in essere dal suo presunto gruppo criminale, né ad uomini di sua fiducia». Ora sarà il pool anticamorra dell’aggiunto Borrelli, a presentare un probabile ricorso per Cassazione sulla storia della presunta madrina della gomorra napoletana.
 
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