Maria, sanguinaria come Chanel
Divise la cella con la br Lioce

Maria, sanguinaria come Chanel Divise la cella con la br Lioce
di Leandro Del Gaudio
Venerdì 28 Giugno 2019, 00:00
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Che frustrazione per un tipo smanioso come Ettore Bosti, l’erede diretto dell’Alleanza di Secondigliano, che si descrive come un re senza trono. E per colpa di chi? Di lei, sempre di lei, di Maria la piccolina, nota anche come la zia, ma anche come la «sanguinaria», la bloody Mary della camorra napoletana (le attribuiscono 100 omicidi, ma non è stata mai indagata per fatti di sangue). Torniamo al povero (si fa per dire) Ettoruccio che si lamenta della «zia»: «Tutti quanti appartengono a lei», insiste al cospetto del boss Francesco Mallardo, per la frustrazione di non poter pretendere il pizzo neppure sotto casa, neppure al Vasto, da sempre enclave criminale del clan paterno. 

Eccola Maria Licciardi, 68 anni, donna in fuga da 48 ore, scampata alle manette dell’ultima maxiretata, quella dei 126 ordini di cattura, dei sequestri milionari e delle indagini sull’ospedale San Giovanni Bosco ridotto a bivacco dei Bosti-Contini. Sono le quattro di mercoledì mattina, quando una vocina l’ha avvisata e nella Masseria Cardone hanno trovato una casa vuota. Sparita, missing, esattamente come accadde 19 anni fa, quando venne arrestata dopo qualche mese di latitanza come la madrina indiscussa del clan Licciardi, almeno all’indomani della morte del fratello Gennaro ‘a scigna (agosto 1994) e degli arresti dei fratelli Pietro (condannato all’ergastolo per omicidio) e Vincenzo (condannato per associazione camorristica): venne trovata con 300 milioni, soldi che sarebbero serviti a far ritrattare l’allora pentito Costantino Sarno, all’epoca uno dei fondatori della famigerata Alleanza di Secondigliano. Piccolina, zia, sanguinaria, paziente tessitrice di trame e di equilibri criminali. Ettoruccio si infervora e insiste: «Ogni volta che andiamo da uno grande (un costruttore da taglieggiare, ndr), scopriamo che appartiene a lei, che ci sta lei o che magari tiene una mezza società con lei». Intercettazioni che alimentano la fama sinistra della lady dai capelli corti, dal fisico minuto e dalla enorme disponibilità ad ascoltare la versione di tutti - lei sempre in campo da paciere o da giudice - quando c’è un litigio per affari, soldi o storie di corna tra donne e affiliati all’ombra del suo strapotere criminale: è l’esatto contrario della appariscente e mediatica Chanel, la lady clan di Gomorra interpretata da Cristina Donadio, insomma una che tiene il profilo basso ma che alimenta da decenni suggestioni narrative. È lei ad avere un ruolo centrale nell’inchiesta sulla Alleanza di Secondigliano, nonostante al centro di intercettazioni e pentimenti ci sia il clan alleato dei Contini. 

Interviene ad assegnare una piazza di spaccio a Melito, secondo l’intercettazione di Vincenzo Tolomelli (reggente del Borgo di Sant’Antonio), in una galleria di scene in cui la donna si erge a giudice (senza prova di appello) di piccole e grandi questioni. Qualche esempio, a scorrere le oltre duemila pagine firmate dal gip Roberto D’Auria: è il 2012, quando un ragazzo viene accoltellato per un debito di 750 euro, quanto basta a far scattare una sorta di giudizio immediato: Maria interviene presso l’autore del ferimento - scrive il giudice - mentre la vittima si impegnava comunque a restituire il debito.

Non mancano le grane sentimentali all’ombra del potere criminale della Masseria Cardone, tanto che è ancora Maria a pretendere chiarimenti quando una ragazza del Vasto chiede - tramite i Contini - un suo intervento diretto. Detto, fatto. Maria la piccolina convoca la moglie di un suo affiliato, che minacciava la ragazza di riempirla di botte per aver avuto una tresca con il marito, e le chiede spiegazioni, all’insegna del «come ti sei permessa...». La moglie gelosa però usa la carta vincente: si fa ricevere in casa e le racconta dell’affronto subìto, dell’amore di moglie tradita e «da che doveva essere redarguita - spiega il pentito Esposito - quella donna venne perdonata, tanto che Maria si schierò apertamente dalla sua parte».

Non solo sorella di boss che hanno scritto col sangue la storia della camorra napoletana, ma anche madre, donna di famiglia, e soprattutto moglie: ha sposato Antonio Techemie, a sua volta noto come «James» o come «Tartufon», ma non ha mai lasciato al marito (una sorta di principe consorte) il suo ruolo di presunta manager. Ha scontato quasi dieci anni in carcere in regine di carcere duro, al termine delle indagini dell’allora pm Filippo Beatrice (scomparso prematuramente un anno fa), quelle sulla globalizzazione del fenomeno dei magliari, «messi a sistema» dai clan di Secondigliano e in grado di riciclare elettrodomestici e giubbini falsi in giro per il mondo. 
Ricordate quelle parole intercettate nell’ottobre del 2001? Parlano Maria Licciardi (in cella) e il marito (libero) nel corso di un colloquio in cella, quando Maria dice: «Hai visto Peppe? Si è messo pure lui a fare i trapani...». Sembrava una frase in codice per mascherare traffici di droga e invece i trapani erano realmente trapani: finti bosch con cui la camorra napoletana (Giuseppe Misso) si era imposta tra le torri di Manhattan, in Australia o in Boemia.

Ma le intercettazioni di quel colloquio assunsero anche un carattere politico, a proposito delle elezioni in cui si affermò il centrodestra. Marito e moglie parlano di amnistia, quando i due convengono che quelli (i politici) le cose se le fanno per loro (alludendo alla riforma del giusto processo), per poi fare un commento sull’allora premier Silvio Berlusconi. Disse Maria Licciardi: «Eppure abbiamo fatto tanto per farlo salire...», alludendo a un presunto sostegno elettorale mai riscontrato dalle indagini successive. Anni di galera, carcere duro, una sola ora di socialità che Maria la piccolina ha condiviso con Nadia Dsedemona Lioce, la irriducibile delle Nuove brigate rosse, condannata per gli omicidi dei giuslavoristi Massimo D’Antona e Marco Biagi e del sovrintendente di Polizia Emanuele Petri. Due mondi lontani, due sistemi di violenza diversi, guardati a vista dal monitor di una cella di sicurezza del supercarcere di Aquila, che si sono incrociati per qualche mese. Maria ascoltava, si parlava di famiglia, di ricordi personali. Esattamente gli stessi ricordi concessi nel 2003, nel corso di un’udienza del processo nell’esame di imputata: «Io una camorrista? Impossibile. Ho sempre lavorato, facevo la calzolaia, odio la droga, se vedo dei giovani che si drogano mi dispero... chi mi accusa lo fa per risentimento contro la mia famiglia...». Non è Chanel a parlare, ma la madrina che ora tutti cercano dopo un buco nelle indagini sulla maxiretata a vent’anni dalla nascita dell’Alleanza. 
 
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