L’agente provocatore e le voci fuori dal coro

di Massimo Adinolfi
Mercoledì 21 Febbraio 2018, 22:57
4 Minuti di Lettura
Prima che si scatenasse la tempesta perfetta, prima che Fanpage mettesse in rete i video sui rifiuti campani, questo giornale ha sollevato qualche domanda sul metodo dell’inchiesta. Una domanda sui suoi tempi, visto che la pubblicazione avviene scientemente a ridosso del voto politico nazionale. Una domanda sulla interferenza con le attività condotte dalla Procura di Napoli, che aveva già aperti diversi filoni di indagine sulla materia. Una domanda sullo spregiudicato utilizzo, nel lavoro giornalistico, di “agenti provocatori”, che fanno la notizia: non si limitano a raccoglierla.

Una domanda sul clima che si determinerebbe, qualora si generalizzasse il ricorso a questo genere di provocazioni, da parte di altri soggetti (testate, ma anche – perché no? – partiti e fazioni politiche). Una domanda, infine, sulle conseguenze, per gli istituti della democrazia, di una così pesante logica sostanzialistica, che accantona ogni preoccupazione di diritto, pur di dare addosso al ladro e al corruttore.
Fare queste domande non significa affatto non vedere ciò che i video di Fanpage hanno mostrato: che in Campania il problema dei rifiuti è ben lungi dall’essere risolto; che nel sistema di smaltimento non sono ancora sufficienti i controlli; che in questa Regione il crimine si mantiene in una pericolosa contiguità con l’area dell’agire pubblico; che in nome dell’emergenza è tuttora possibile condurre operazioni poco trasparenti; che manchiamo, soprattutto nel Mezzogiorno, di una classe dirigente, politica e amministrativa, all’altezza delle proprie responsabilità, che sappia tirare una linea netta tra il proprio profilo e ruolo istituzionale, e le facilonerie e le leggerezze da bar, i rapporti amicali o familiari, le chiacchiere avventate con i mediatori e faccendieri di turno.
Ma tutto questo non è una buona ragione per non porre, con qualche allarme, le domande che abbiamo posto. Che sono, se possibile, oggi ancora più essenziali di ieri. Tanto più che sono troppo poche le voci che, sin qui, hanno voluto porle. Lo hanno fatto Antonio Polito e Enzo D’Errico sul “Corriere del Mezzogiorno”, lo ha fatto Stefano Cappellini su “Repubblica”. Lo hanno fatto, per fortuna, Raffaele Cantone e Federico Cafiero de Raho, il presidente dell’Autorità anticorruzione e il Procuratore Nazionale Antimafia. Il primo non ha mancato di rilevare «problemi deontologici rilevanti, rispetto ai mezzi impiegati e ai tempi di pubblicazione». E quanto all’uso di agenti provocatori, si è detto contrario con parole che andrebbero tenute bene a mente: «Non credo che tra le funzioni delle indagini giudiziarie ci sia quella di individuare soggetti potenzialmente corruttibili, ma solo di perseguire chi ha commesso un reato». Figuriamoci se l’agente provocatore, invece di essere un esponente delle forze dell’ordine, posto sotto le direttive di un magistrato, dovesse essere un ex boss della camorra, al soldo di una redazione. Quanto al secondo, Cafiero de Raho, ha parlato senza troppa diplomazia di «un’azione quasi fraudolenta» compiuta da Fanpage.
A fronte di ciò, sta però la montagna di articoli sotto i quali finiscono sepolti i protagonisti di questa storiaccia: con poche, pochissime possibilità di difesa, inchiodati da immagini che, montate in modo suggestivo, sollevano una sacrosanta indignazione, sottoposti a uno stillicidio di cui non si conosce la fine, messi insieme, dalla voce narrante che apre ogni puntata, a «centinaia di trafficanti di rifiuti, spietati camorristi, imprenditori spregiudicati e politici corrotti».
Certo, di questo si può anche decidere di non preoccuparsi, in nome della notizia (e, insieme, dello spettacolo: perché è difficile negare la costruzione spettacolare dei video). Così fa l’ordine dei giornalisti: affrettatosi a dare la sua solidarietà ai colleghi indagati per istigazione alla corruzione, senza minimamente lasciarsi sfiorare dal dubbio che, forse, mandare in giro un camorrista per indurre in tentazione politici e amministratori non è lo stesso che fare il cronista. Una specie di riflesso automatico, stupido come tutti i riflessi. (Doverosa, invece, la solidarietà, per le aggressioni e le parole fuori luogo di cui sono stati fatti oggetto). E, certo, si può anche scegliere di ignorare la deriva che rischia in questo modo di travolgere la vita pubblica, o il piccolo particolare che vede la Costituzione riconoscere anche alle persone riprese non dirò la presunzione di innocenza, ma almeno la possibilità di discolparsi. Eppure, anche in mezzo a un’opinione pubblica che, scatenata all’inseguimento della preda, sembra sentire ormai solo l’odore del sangue, bisogna provare comunque a tenere ben ferme le nostre domande. Dalle risposte dipende infatti lo stato di salute della democrazia. A meno che, in nome della più inflessibile lotta alla corruzione, non si decida di sospenderla per un po’. Qualche segnale, in questa direzione, purtroppo c’è già.
© RIPRODUZIONE RISERVATA