Media e populisti: green pass, la normalità che non fa notizia

di Mauro Calise
Lunedì 25 Ottobre 2021, 00:00 - Ultimo agg. 06:00
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Alla ricerca di una rinascita politica, Enrico Montesano ha invocato un partito che rappresenti i no-vax. Senza accorgersi – forse – che ce ne sono già tre. Due in parlamento, uno nei talk-show. I primi due sono facilmente identificabili. La Meloni non ha mai nascosto da che parte ha scelto di stare. E Salvini, che non può lasciarle troppo spazio, dà un colpo al cerchio della governabilità e uno – sempre più rumoroso – alla botte della protesta. Se non ci fossero queste due autorevoli sponde, le manifestazioni di piazza si sarebbero rapidamente svuotate. Invece, continuano ad essere una spina nel fianco del governo. E continuano a fare notizia. Almeno per la maggioranza dei media, soprattutto televisivi. 

Un talk-show, si sa, si basa sul contraddittorio, meglio ancora se sfiora la rissa. E che audience ci sarebbe se a parlare fosse solo la stragrande maggioranza degli italiani che si sono vaccinati? Secondo la regola aurea delle pari opportunità, in Tv pro-vax e no-vax sono equamente rappresentati. Col risultato che lo specchio mediatico, invece di fotografare il paese, amplifica la minoranza arrabbiata della contestazione. Può darsi che sia inevitabile. Però, non va sottovalutato l’effetto – non solo simbolico – su entrambe le componenti di questa nuova polarizzazione sociale.

Come si è visto sabato a Milano, i commercianti sono sempre più esacerbati da manifestazioni che intaccano e rischiano di compromettere il difficile tentativo di rimettere i conti in ordine.

Dopo le serrate del lock-down, ci mancavano solo quelle imposte da cortei che alimentano i disordini e spesso sfociano nella violenza. Così alla rabbia dei manifestanti si somma quella dei negozianti. E si può facilmente immaginare che sentimenti non molto diversi covino quei milioni di operai impiegati che, ogni mattina, sul luogo di lavoro, provano faticosamente a ritrovare un briciolo della normalità che, per quasi due anni, era sembrata un sogno. 

Di fronte a questa spaccatura che rischia, di giorno in giorno, di esacerbarsi, l’esecutivo ha scelto una linea di gradualità e prudenza.

Consapevole che c’è ancora un margine ampio di popolazione che può essere convinta con le buone a vaccinarsi al più presto possibile. Ma le notizie che arrivano da fuori sono ancora più inquietanti di quelle che cominciano a circolare anche da noi. La scelta dell’Austria di imboccare la linea dura, anzi durissima, di un lock-down per i non vaccinati indica che in molte aree a noi vicine – nel giro di poche settimane – la situazione sanitaria potrebbe sfuggire nuovamente di mano. La spirale dei dati in Inghilterra viene seguita con apprensione da tutte le cancellerie. Se Johnson dovesse ricorrere all’ennesima brusca retromarcia, l’orizzonte tornerebbe a oscurarsi, non solo per la Gran Bretagna. Un orizzonte che è già nerissimo per paesi di prima grandezza sullo scacchiere internazionale, come il Brasile di Bolsonaro, dove un rapporto del Senato accusa il presidente di «crimini contro l’umanità» per la sua «macabra gestione dell’emergenza Covid».

Certo, rispetto a un anno fa, i passi avanti sono impressionanti. L’autunno scorso, tutto l’Occidente si fece trovare impreparato da una inattesa recrudescenza del virus. I vaccini sembravano un miraggio, gli ospedali di nuovo al tracollo, le scuole – quasi dappertutto – chiuse o aperte col contagocce. E l’America che si avviava al voto con l’incubo di una rielezione di Trump. Questo quadro dovremmo averlo appeso alle pareti dei nostri desktop, come sfondo dei nostri cellulari, ben in vista nei profili social. Ma si sa che la memoria è il bene che scarseggia di più nelle nostre vite digitali. Zeppi di memorie informatiche, soffriamo di un alzheimer culturale che ci fa subito perdere coscienza di come eravamo ieri. E, purtroppo, di questa malattia c’è sempre qualche leader politico pronto ad approfittare.

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