Una rete di atenei mediterranei per la pace

di Romano Prodi
Domenica 30 Ottobre 2022, 00:00 - Ultimo agg. 07:26
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Il Mediterraneo è ormai diventato un ambiente ostile, dominato da infinite tensioni politiche e dal dramma delle migrazioni che condizionano la politica interna di ogni paese, esclusivamente concentrata a decidere quanto alte debbano essere le barriere e quali le misure di contenimento nei confronti degli emigranti. 

Non esiste una politica europea per il Mediterraneo. Di questo vuoto hanno approfittato potenze straniere per esercitare una crescente presenza economica, politica e militare che ha ulteriormente contribuito a cancellare quella “comunità mediterranea” che per molti secoli aveva garantito la pacifica convivenza tra le popolazioni della sponda Nord e della sponda Sud del nostro mare. Una convivenza soprattutto fondata su una lunga continuità di rapporti umani. Noi italiani abbiamo l’obbligo di ricordare quante decine di migliaia di nostri cittadini vivevano di commerci o di piccole attività imprenditoriali o professionali ad Alessandria d’Egitto, a Smirne, a Tunisi, a Tripoli e in tante altre città nelle quali le tracce della nostra presenza sono state così profonde che, pur diventando sempre più esili, non si sono ancora cancellate. 

Per costruire la pace nel Mediterraneo e per affrontare con ordine e con serie prospettive di successo anche il problema delle migrazioni, dobbiamo ricreare questi rapporti. Lo possiamo fare solo con una grande collaborazione a livello europeo, mettendo in atto strumenti nuovi e puntando tutto sulle giovani generazioni. E lo dobbiamo fare con decisioni concrete, fuori da ogni traccia paternalistica o neo-coloniale, a partire dalla cultura e dai giovani. 

Penso quindi che lo strumento adatto per iniziare questa nuova era nel Mediterraneo sia dare vita a venti-trenta “Università Mediterranee”, cioè università miste, paritarie ed eguali operanti nella stessa misura e con gli stessi strumenti nella costa del Nord e nella costa del Sud del mare. Non filiali delle nostre università, ma università ciascuna con un campus a Sud e uno a Nord. Solo per fare un esempio: una sede condivisa a Bari e Tobruk, a Napoli e Tunisi, a Atene e Cairo, a Barcellona e Rabat e così via. Una grande rete di università che coinvolga direttamente, da parte europea, Italia, Francia, Spagna, Grecia, Portogallo, Malta, Cipro e i paesi dell’Adriatico. Legata ad una rete altrettanto significativa di paesi del Sud.

Un’iniziativa grande, seria, impegnativa che, in ogni ateneo, coinvolga obbligatoriamente lo stesso numero di professori del Nord e del Sud, lo stesso numero di studenti del Nord e del Sud e, per ogni studente, identici anni di studio a Nord e a Sud. E, per evitare possibili problematiche di carattere politico, ideologico o religioso, si dovrà iniziare la prima fase del progetto con studi di ingegneria, matematica, fisica, medicina, agraria, economia e altre discipline delle diverse facoltà scientifiche. Seguiranno poi anche le facoltà umanistiche.
Quando, nello spazio di dieci-quindici anni, più di cinquecentomila ragazzi avranno studiato e vissuto insieme, la pace e lo sviluppo del Mediterraneo saranno un obiettivo concretamente raggiungibile.

Già vent’anni fa portai questo progetto in Commissione Europea senza potere fare alcun passo in avanti per l’indifferenza dell’Europa settentrionale, ma oggi, in conseguenza delle drammatiche vicende di Siria e Libia e delle crisi ricorrenti in tutta la sponda Sud, anche i paesi del Nord Europa hanno finalmente capito quanto la loro sicurezza dipenda dalla stabilizzazione del Mare Nostrum e si rendono conto che questa grande collaborazione universitaria è forse l’unico strumento che non porta tensione o paura nelle opinioni pubbliche nazionali.

È evidentemente un progetto da affrontare a livello europeo, con risorse fornite, ad esempio, per i due terzi dall’Unione.

La parte prevalente del restante terzo dovrà provenire dal paese del Nord direttamente interessato e il resto dal paese del Sud. Si tratta di un’iniziativa di notevole portata, ma di un costo assolutamente sostenibile e certamente inferiore alle spese di protezione militare e di pattugliamento che, in modo crescente, gravano sulle nostre spalle.

Perché il progetto abbia efficacia, deve essere evidentemente gestito e finanziato a livello europeo, ma l’interesse maggiore, e quindi l’iniziativa politica, non può che essere italiana. Non solo siamo l’unico grande paese al centro del Mediterraneo, ma è sempre più evidente che il futuro del Mezzogiorno dipende dalla realtà che abbiamo al di là del mare. Se, di fronte al nostro Mezzogiorno, continueranno a esservi paesi con economie fondate solo sulle fonti di energia e sul turismo, perderemmo importanti occasioni di sviluppo per tutte le nostre regioni meridionali.

Un gran numero di sindaci di entrambe le sponde del Mediterraneo, radunati in un recente convegno a Firenze, ha accolto con condiviso entusiasmo questa proposta, auspicando che essa si possa presto trasformare in progetto. 
Penso che l’Italia debba accogliere quest’auspicio, approfondendo gli aspetti tecnici e finanziari della proposta in un prossimo colloquio con tutti i paesi europei interessati, ma coinvolgendo fin dall’inizio i paesi della sponda Sud. 

Mi sembra cioè giunto il momento che i problemi così complessi come quelli che affliggono oggi il Mediterraneo, non possano essere sempre affrontati a tragedia avvenuta e guardando solo al presente, ma debbano finalmente essere risolti in una visione di lungo periodo, coinvolgendo quindi le nuove generazioni. 
Le orrende vicende della guerra di Ucraina aggiungono un’ulteriore spinta a questa iniziativa. Esse dimostrano, con terribile evidenza, che la pace può essere costruita solo progettando insieme il futuro. 

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