Cutolo, il boss che fece sbocciare la lotta anti-camorra

di Pietro Perone
Giovedì 18 Febbraio 2021, 23:55 - Ultimo agg. 19 Febbraio, 06:33
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Tanto efferato, quanto potente. Ma se un “merito” Raffaele Cutolo l’ha avuto, è stato quello di aver suscitato la prima, grande ribellione contro le mafie. Tanto efferato, quanto potente. Ma se un “merito” Raffaele Cutolo l’ha avuto, è stato quello di aver suscitato la prima, grande ribellione contro le mafie nel Mezzogiorno.

Era l’1 novembre del 1982 quando gli studenti del liceo scientifico di Acerra, del classico di Pomigliano, oggi Imbriani, insieme con un po’ di giovani provenienti da altri istituti della zona vesuviana, organizzarono la prima assemblea contro la camorra nel cortile di una scuola di Ottavano, nel paese del “boss dei boss”. Una sfida a viso aperto, dopo una raffica di omicidi senza precedenti che avevano fatto piombare l’intera provincia di Napoli nel terrore: in un anno nel paese di Cutolo c’erano stati 17 delitti, dodici ad Acerra, l’ultimo, quello dell’avvocato Antonio Mangiarulo “colpevole” solo di difendere il clan “sbagliato”.

Fu l’ennesimo segnale di quanto la camorra rifondata dal padrino avesse alzato il tiro: non più sanguinari regolamenti di conti tra affiliati, ma anche assassini “politici” e dal valore simbolico, come quello di Mimmo Beneventano, il consigliere comunale del Pci ad Ottaviano ucciso due anni prima, il 7 novembre del 1980 mentre saliva in auto per recarsi al lavoro. 

Quel giorno alla prima assemblea anti camorra nel “regno” del capo clan, insieme con i ragazzi, c’era don Antonio Riboldi, vescovo di Acerra, e già reduce dalle battaglie condotte in Sicilia quando era parroco di Santa Ninfa, uno dei centri del Belice terremotato e dove aveva imparato a conoscere la mafia.

Un discorso senza precedenti, il suo, rivolto agli studenti e “sparato” dagli altoparlanti affinché fosse ascoltato oltre il confine dell’istituto scolastico, da quella gente che viveva nella paura e fingeva di amare “don Raffaele”.

Sfida a viso aperto contro un potere che si era ormai ramificato ampiamente nella società e in alcuni apparati dello Stato. «Camorristi, siete la schifezza di Napoli», dissero i ragazzi mentre don Riboldi provò a colpire l’orgoglio di ognuno pronunciando queste parole: «Non me la sento di fare il pastore di un popolo che ha paura».

E ancora: «Chi è anziano non ne vuol sapere... Chi ha interessi preferisce il silenzio. Voi giovani, invece, avete il vantaggio di non avere interessi da tutelare. Ebbene, approfittatene e gridate il più forte possibile».

Così fu. Quella prima assemblea colse di sorpresa anche le forze dell’ordine facendo correre rischi altissimi a chi aveva avuto la lucida follia di fronteggiare Cutolo dentro casa sua. Ma dopo alcune settimane i giovani tornarono molto più numerosi. Sempre ad Ottaviano, per una marcia con in testa oltre a don Riboldi, anche il vescovo di Nola, mons. Costanzo, l’allora segretario regionale del Pci, Antonio Bassolino, il leader della Cgil, Luciano Lama, operai e sindacati. In migliaia lungo le strade dove la gente fingeva di non vederti, le donne sbarravano le finestre al passaggio del corteo e gli anziani seduti davanti al Circolo dell’Unione si rifiutavano di prendere i volantini che venivano distribuiti: «Teneteli voi», dissero. 

Quella volta, però, a fare da scudo c’erano alcune centinaia di poliziotti e carabinieri oltre a decine di cecchini schierati sui tetti dei palazzi. Il livello della sfida al boss era alto, il suo fortino violato, il palco allestito non più in un cortile ma sotto il palazzo del Municipio. Vennero poi marce anti camorra in tutto il Mezzogiorno, assemblee nelle fabbriche, una manifestazione nazionale nella Villa Comunale di Napoli con centomila giovani provenienti anche dal Nord.

L’immagine di Cutolo simbolo del male supremo, tanto da scatenare una mobilitazione corale mai vista fino ad allora, come raccontato in un libro in uscita edito da “Infinitimondi”. La prima, grande contestazione a un sistema di potere che andava ben oltre il fenomeno criminale e di cui Cutolo in quegli anni è stato il principale protagonista, più di Totò Riina e altri che solo dieci anni sfideranno lo Stato con le stragi di mafia.  

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