Napoli, assalto ai forni riaccesi: per avere una pizza ordini con giorni di anticipo

Napoli, assalto ai forni riaccesi: per avere una pizza ordini con giorni di anticipo
di Paolo Barbuto
Lunedì 27 Aprile 2020, 23:01 - Ultimo agg. 28 Aprile, 13:54
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In una sola sera Napoli ha sfornato sessantamila pizze, secondo il conto di Massimo Di Porzio, titolare di Umberto e presidente napoletano di Fipe Confommercio. Sono le pizze del ritorno verso la normalità, le prime dopo la grande paura e il lockdown, quelle che i napoletani hanno atteso con ansia talmente spasmodica da prenotarle con due giorni di anticipo. Solo consegna a casa, però, come da ordinanza regionale: nel mondo dei pizzaioli dicono che le prime siano state consegnate esattamente alle 18.30 a una famiglia del Vomero che si è accontentata di quell’orario perché tutte le altre possibilità di consegna erano esaurite.
 

 

Il lavoro è stato sfiancante ma quando alle undici di ieri sera è terminato, i pizzaioli hanno festeggiato il ritorno alla normalità e l’entusiasmo della gente di Napoli che non aspettava altro: la pizza. Impasti preparati con il consueto anticipo e, talvolta, senza fare i conti con l’assalto. Verso le 19.30 alcune pizzerie avevano già terminato i panetti e non hanno potuto rispondere alle richieste dei clienti, è capitato alla Masardona a piazza Vittoria, ad esempio, che ha subito un vero e proprio accerchiamento da parte dei clienti più affezionati. In media ogni pizzeria si è tarata sulle duecento forme, nessuna ha avuto rimanenze nelle cassette infarinate: tutto il materiale è andato via.

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A Napoli, nel primo giorno di ritorno alla pizza, ha riacceso i forni solo il 20% dei locali, molti altri sono rimasti impigliati nelle difficoltà della burocrazia che imponeva rigidissime norme sanitarie per ottenere i permessi alla riapertura, anche se solo per le consegne. Molte pizzerie sono state costrette a fermarsi per mancanza di sanificazione: le ditte che se ne occupano non sono tantissime e sono andate avanti a ritmo serrato negli ultimi giorni senza poter accontentare tutti, però. C’è, poi, il delicato fronte dei dispositivi di protezione personali: i ristoratori sino riusciti in maniera abbastanza agevole a procurarsi guanti e mascherine, le difficoltà più grandi sono arrivate di fronte alle protezioni per le scarpe, più complicate da trovare rapidamente sul mercato. C’è stato, infine, il grande dilemma delle visite mediche alle quali andava sottoposto ogni membro del team che avrebbe lavorato nel ristorante. Difficile ottenere un documento che attestasse l’assenza di coronavirus: sarebbe stato necessario (ma impossibile) sottoporre il personale al test del tampone o a quello sierologico, la maggior parte dei ristoratori, così, è riuscita ad ottenere dai medici del lavoro certificati che attestano l’assenza di sintomi di malattie in genere, senza riferimento al Covid19. 
 

Massimo Di Porzio, presidente napoletano della Fipe (pubblici esercizi) di Confcommercio, e titolare dello storico ristorante “Umberto” è battagliero: «Sappiamo bene che questa modalità di ripartenza non ci consentirà nemmeno di rientrare delle spese. Ma lo facciamo con l’entusiasmo di chi non riesce a stare fermo, di chi sa che bisogna rimettersi in movimento per poi riprendere a correre». Dietro l’angolo scadenze importanti soprattutto per la riapertura di bar e ristoranti al pubblico: «Bisognerà affrontare ogni dettaglio con metodo, senza lasciare nulla al caso perché quando i clienti rientreranno nei nostri locali dovranno sentirsi come a casa, sicuri e tranquilli. Andare al ristorante o in pizzeria significa trascorrere qualche ora in serenità e noi la garantiremo».
 
 

Il giorno della riapertura al delivery per ristoranti, pizzerie e pub è stato anche il giorno della grande protesta per l’esclusione dall’ordinanza di una serie di locali che avevano già preparato tutto per la ripartenza e che solo all’ultimo momento sono stati riammessi alla vendita. Si tratta dei locali per il solo asporto che per un cavillo burocratico erano stati considerati esclusi dall’ordinanza di riapertura.
La questione è sottile e cavillosa e rientra nella tipologia di appartenenza del locale. Secondo l’ordinanza regionale il delivery di cibo a casa è permesso solo ai locali con permesso di “tipologia A”. Si tratta di strutture che mettono a disposizione dei clienti anche tavoli e sedie come ogni ristorante o pizzeria o pub. In serata un colloquio fra il comandante della polizia municipale di Napoli e gli uffici regionali ha chiarito l’equivoco e i decreti di chiusura imposti dai vigili sono stati revocati.

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