Per cogliere il senso e il destino di qualcosa, talvolta basta anche solo un’espressione. Una parola che nel suo assiduo ricorrere la avvolge fino a connotarla profondamente. Nel caso di Bagnoli, questa parola è «ormai». Un semplice avverbio di tempo che sta a indicare l’esaurirsi del tempo, l’impossibilità di tornare indietro da un percorso già segnato e gravido di catastrofe.
«Ormai» viene a galla ogni volta che si torna su Bagnoli, quando i giorni passati pesano più di quelli futuri ed emerge la rassegnazione per una realtà che sembra ineluttabile. Tutte le generazioni che hanno preceduto la nostra sono sempre state attraversate dall’idea che il mondo intorno a loro potesse sempre cambiare, e che la storia seguisse, benché confusamente, una linea di lento ma costante avanzamento. Caso più unico che raro, questo progresso sembra del tutto precluso a Bagnoli. Se oggi abbiamo una certezza, è la certezza che nulla a Bagnoli cambierà mai. Come intendere, altrimenti, il progetto di due ministeri, quelli della Giustizia e della Difesa, di realizzare un carcere nell’area dell’ex caserma Battisti?
Dopo trenta e passa anni di carte bollate, sequestri, certificati, studi di fattibilità, dopo tre decenni di società fallite, commissariamenti, indagini della magistratura, a Bagnoli non riesce nemmeno il passo del gambero, uno avanti e due indietro. Quello che ci abbandona, o ci ha già abbandonato, è non solo il senso della storia di un quartiere, ma anche – essendo Bagnoli legata a Napoli come un dito lo è alla mano, senza che si possa ben definire dove finisce uno e comincia l’altra – il senso del futuro di una città, l’immagine di un destino collettivo, l’idea che sia giusto creare qualcosa laddove non c’è nulla, disegnando progetti coerenti, programmando le attività in vista di un traguardo concreto e misurabile.
Se da Bagnoli guardiamo in avanti, non vediamo nulla. Costruire un penitenziario lì in un’area a vocazione turistica e culturale significa, molto banalmente, ammazzare in culla qualsiasi discorso che parli di turismo e cultura. E non perché i detenuti siano da considerare come polvere da nascondere sotto il tappeto. L’idea di creare istituti penitenziari che non siano lontani dai centri urbani, che siano facilmente raggiungibili da familiari, avvocati, personale di polizia è un’idea che serve a migliorare la qualità della vita di chi sta in carcere, quindi ben venga.
Il punto è: perché proprio lì? Esistono decine di beni dello Stato in disuso, o abbandonati, anche qui a Napoli, che potrebbero essere destinati per questa attività. Perché proporlo proprio a Bagnoli? Perché avanzare questa proposta in una zona che con enormi fatiche, dal 20 ottobre 1990 – data dell’ultima colata prima dello spegnimento definitivo dell’”area a caldo” dell’Ilva – prova a ripensarsi grazie alle straordinarie bellezze naturali che la circondano? Eppure, più Bagnoli prova a rimodulare il suo destino come è accaduto in tantissime aree ex industriali europee e mondiali, più i fatti la smentiscono. Più abitanti e associazioni di quartiere si impegnano, più forte sembra lo sforzo di farli passare come dei poveri illusi. «Brutta come Efesto», secondo lo scrittore Heinrich Böll, la Ruhr, in Germania, è diventata – con la città di Essen, ex area industriale dismessa – un modello di ecologia contemporanea e turismo sostenibile. A Duisburg hanno costruito un grande parco naturale su quel che rimane delle sue acciaierie. A Bilbao c’è il museo Guggenheim.
Perché a Bagnoli è ancora vietato sognare? Non dico progettare o, finalmente, iniziare a costruire cose, ma addirittura immaginare. Nemmeno del famoso «concorso internazionale di idee» dei 18 studi italiani ed esteri di architettura, del resto, si sa qualcosa. Quale punto di Napoli è più sconosciuto di quello, come Bagnoli, in cui si consuma la frattura tra parole e fatti? Eppure l’evoluzione e le possibili prospettive di sviluppo di questo quartiere sono al centro di un interesse senza precedenti di una ampia comunità di studiosi ed esperti (economisti, urbanisti, geologi, chimici, architetti) uniti, la gran parte delle volte, dalla volontà di rendersi utili, per tacere dell’impegno continuo di abitanti, movimenti, associazioni. Ma a questo non ha mai corrisposto un livello istituzionale, locale e nazionale, capace di interloquire, o che – quando prova a farlo, come nel caso della proposta governativa del carcere – lo fa balbettando senza letteralmente sapere di che cosa parla, sproloquiando a vanvera con il solo risultato di creare ancora maggior confusione. Più che la storia presente e futura di un quartiere, ogni volta che Bagnoli compare nei discorsi della politica e dell’amministrazione lo fa come se fosse l’ombra stanca di un quartiere, un ammasso di non-fatti, di non-eventi che accompagnano la città e si allungano, e crescono, tutto intorno a lei fino a formare un vero e proprio alone. Lo spazio annebbiato in cui, in controluce, si legge il destino amaro di una intera città.