Bimbi violati, l'emergenza ​ignorata dal Recovery

di Marilicia Salvia
Mercoledì 5 Maggio 2021, 00:02
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I figli so’ piezz ‘e core, diceva Filumena Marturano, e tutte le donne di Napoli a quel pensiero se lo stringono sempre forte, il loro cuore, identificandosi in quell’espressione con assoluta, dogmatica certezza. Eppure ci sono figli, bambini, adolescenti - quegli “scugnizzi” che di Napoli sono un simbolo famoso dappertutto, l’esercito di ragazzi che fa della Campania la regione più giovane d’Italia - i quali vivono e crescono come un piccolo popolo dolente: una schiera di invisibili, senza amore e senza diritti, dei quali ci si ricorda solo quando è troppo tardi. Quando il disamore diventa orrore, come successe al piccolo Giuseppe picchiato fino alla morte dal patrigno senz’anima, o alla piccola Fortuna, violentata ripetutamente a sei anni e poi scaraventata giù dal suo orco come un giocattolo rotto; oppure quando l’indifferenza, l’assenza di proposte di (buona) vita li trasforma, i bambini divenuti ragazzi, in persone violente, aggressive, capaci di tirare fuori coltelli per «regolare» conti balordi con dei coetanei inermi, come è successo appena due giorni fa a Gragnano. Dice tutto questo, l’ultimo rapporto sui minori redatto dalla Fondazione Cesvi - organizzazione umanitaria che conta volontari in tutto il mondo, Napoli compresa - quando boccia sonoramente la Campania, piazzata al ventesimo posto su venti nella classifica delle regioni che garantiscono cura e attenzione ai propri cittadini under 18. 

Dice, il rapporto, che qui c’è il record di minori maltrattati, a Napoli il 39 per cento, quasi uno su due a pensarci bene, ed è davvero un dato agghiacciante: ma soprattutto dice che è difficile, se non impossibile, un’inversione di tendenza in queste condizioni, perchè ai fattori di rischio oggettivi - la povertà, l’ignoranza e il degrado, la contiguità di ambienti criminali capaci di offrire modelli di assoluto disvalore ma tremendamente attrattivi - non corrisponde la necessaria offerta di servizi di prevenzione e contrasto. 

A Napoli, in Campania e più in generale nel Sud (nella classifica del Cesvi la nostra regione è preceduta da Sicilia, Calabria e Puglia) i servizi territoriali, i livelli di assistenza socioassistenziale sono totalmente inadeguati, ha ricordato ieri la presidente della Fondazione, Giorgia Zavatta, presentando il dossier alla ministra per la famiglia Elena Bonetti.

Ma noi lo sapevamo già: sappiamo quanto poco la scuola riesca a fare quando i genitori decidono di mandare i figli a lavorare (quasi sempre al nero, proprio come un secolo fa) infischiandosene del diploma e di possibili diverse aspirazioni. Sappiamo quanta poca attenzione possa rivolgere la scuola stessa, per non dire dei servizi sociali, verso situazioni anche platealmente drammatiche, come il tremendo caso di Giuseppe e della sorellina, che in classe arrivavano tutti i giorni con i segni eloquenti delle violenze, ci ha tristemente insegnato.

Sappiamo, dall’altra parte, delle difficoltà, delle spirali di burocrazia e sospetto che spesso finiscono per scoraggiare gli insegnanti e gli educatori più attenti e sensibili. Sappiamo come iniziative di grande valore, addirittura pionieristiche come è stata quella dei maestri di strada, siano state affossate, letteralmente, da piccole becere invidie, da tagli selvaggi alle finanze pubbliche, dalla cecità di certa politica.

Maltrattamenti, spiega il Cesvi nella sua ricerca, non vuol dire soltanto bambini picchiati e violati, eventualità che sempre e comunque dovrebbe far saltare tutti dalla sedia, e spingere, anzi obbligare a interventi immediati, risolutivi. Maltrattamenti è anche essere costretti a vedere il padre picchiare la moglie, la propria mamma: comportamenti più diffusi di quanto si creda, che durante il lockdown hanno raggiunto livelli insopportabili, e che - come le storie di molti ragazzi confermano - si riversano come per una assurda eredità sui figli stessi, a loro volta violenti con le fidanzate e con gli amici. Maltrattamenti è negare ai bambini l’affetto, le cure mediche, addirittura il cibo: e se i genitori «colpevoli» di queste macroscopiche mancanze sono in qualche modo giustificati dalle proprie precarie condizioni economiche e psichiche (nella maggioranza dei casi registrati si tratta di madri single e malate, o di famiglie prive di reddito), non è mai, in nessun caso giustificata la società che non vede o fa finta di non vedere. L’allarme lanciato dalla Fondazione Cesvi arriva per così dire necessaria, alla fine (si spera) di un periodo di chiusure e sofferenze che hanno esasperato al massimo ogni condizione di difficoltà preesistente, e che di certo hanno inciso sulle condizioni psicologiche dei bambini: molte differenze in questi mesi si sono accentuate, dividendo il mondo tra bambini “fortunati” rimasti a casa con genitori capaci e desiderosi di sostenerli e di seguirli anche nell’esperienza della Dad e bambini che, privati della scuola in presenza che in qualche modo rappresentava un pilastro cui appoggiarsi, sono rimasti abbandonati a se stessi. La ricostruzione promessa con il Recovery Plan, quella che dovrà far ripartire l’economia tra un ponte sullo Stretto e una linea Tav sempre più veloce, tenga presente che anche quest’emergenza, la tragedia dell’infanzia negata, divide in due l’Italia. E che nessun Paese si risolleva davvero fino a quando servizi essenziali come quelli socio-sanitari restano appannaggio di una parte soltanto del territorio. Fino a quando ci saranno figli “piezz ‘e core” delle loro madri, ma che non stanno a cuore a tutti.
 

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