Napoli ciclabile ​tra sogni e realtà

di Fabrizio Coscia
Venerdì 11 Giugno 2021, 00:00 - Ultimo agg. 07:00
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Bike sharing a Napoli. Ancora tu, verrebbe da dire, citando la canzone di Mogol e Battisti. Sì, perché l’inaugurazione del servizio di bicicletta condivisa in città è un déjà vu di cui tutti ricordiamo la triste conclusione. O quasi tutti.

Allora rinfreschiamo un po’ la memoria a quei pochi che hanno dimenticato: correva l’anno 2014 e la società Cleanap, nell’ambito di un progetto finanziato dal Miur, aveva vinto un bando per dare il via alla sperimentazione dell’attività di Bike sharing. Sperimentazione che dai napoletani fu accolta con curiosità e con un certo entusiasmo, ma che è durata circa un anno, dopodiché il progetto è naufragato nelle sabbie mobili della burocrazia. Le bici sono state ritirate, o sparite nel nulla, chissà, come i due milioni di euro di fondi pubblici erogati dal Miur per la sperimentazione di un servizio che è stato poi abbandonato, creando non poca frustrazione nei cittadini che stavano appena iniziando a familiarizzare con il trasporto ecologico.

L’unica traccia rimasta, gli stalli per le biciclette, trasformati in malinconiche panchine e porta-bicchieri, o vandalizzate, quasi un monito a futura memoria, a conferma che le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni. Da allora, nonostante l’amministrazione cittadina abbia più volte proclamato la sua vocazione green e nel 2016 abbia approvato il Piano urbano della mobilità sostenibile, Napoli è rimasta una delle poche grandi città europee sprovvista di un servizio di bike sharing.

In verità nell’ottobre 2018, il Comune un piccolo sforzo lo aveva fatto, indicendo un nuovo bando rivolto ai privati per far ripartire il servizio, ma senza crederci troppo, dato che non ha voluto investire nemmeno un euro, e per questo il bando è andato desolatamente deserto. Insomma, sono stati anni di immobilismo per la mobilità cittadina, mi si perdoni l’ossimoro, che si è rivelata una delle falle più clamorose del doppio mandato di de Magistris, come tutti i cittadini hanno potuto sperimentare in questo decennio di «rivoluzione arancione», conclusosi degnamente con la chiusura a tempo indeterminato della Galleria della Vittoria, ovvero l’arteria di traffico principale che collega le due parti della città. Anni in cui è mancata, per una trasformazione green della città, la capacità di creare infrastrutture serie per pedalare in sicurezza (sicurezza sia per i ciclisti che per i pedoni) e percorsi ciclabili che ricoprano la maggior parte dell’area cittadina e non solo il lungomare (non più) liberato. Ed è mancata una reale volontà di trasformazione. Insomma, come in altri casi, sono state molte più le parole che i fatti.

Adesso, però, si riparte. E non senza polemiche (legate alla presenza, tra gli sponsor, della Q8, non proprio un esempio cristallino di ecosostenibilità, a Napoli in particolare). Si riparte con trentasei biciclette elettriche e la speranza che Napoli possa finalmente trasformarsi in una metropoli normale, una città in cui le cose possano funzionare senza ostacoli, boicottaggi, inerzie. Una città in cui si possa pensare di andare al lavoro senza prendere l’auto o il motorino, di non trascorrere la maggior tempo della giornata imbottigliati nel traffico, di non aspettare ore per un mezzo pubblico. E soprattutto una città in cui ci si possa muovere senza inquinare. È un sogno impossibile? Se è vero che «d’una città non godi le sette o settantasette meraviglie - come dice il Marco Polo calviniano delle «Città invisibili» - ma la risposta che dà a una tua domanda», quello che dovremmo iniziare tutti a fare sarebbe proprio questo: porre una domanda di normalità alla nostra città e vedere che risposta riesce a darci, e capire se riusciremo a godere di questa risposta. 

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