Impariamo a coniugare bellezza e modernità

di Serena Sileoni
Mercoledì 27 Maggio 2020, 00:00
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In questi giorni il Mattino ha ospitato un impegnativo e appassionato dibattito dedicato alla necessità di elaborare una nuova idea di Napoli, adeguata al cambiamento epocale imposto dall’emergenza Covid. Come hanno ricordato, tra gli altri, Titti Marrone e Lucio d’Alessandro, Napoli ha già dimostrato di sapersi rifondare e rinnovare anche dopo tragedie come l’epidemia del colera di fine Ottocento.

Con un po’ di imbarazzo, permettimi di aggiungere la mia alle loro proposte. L’imbarazzo è di chi è appena arrivato a Napoli e ne sta ancora gioiosamente ma faticosamente scoprendo i codici espressivi, e non ha quindi molto da suggerire o peggio ancora insegnare a chi ci vive. Eppure, credo che proprio il mio sguardo ancora esterno e pieno di pregiudizi da sfatare o confermare mi permetta quel disincanto utile a vedere la città nelle sue reali fattezze.

Mi confortano e mi accompagnano nel mio viaggio alla scoperta di Napoli gli insegnamenti di un mio conterraneo, Giacomo Leopardi, che preferì questa città alla nostra terra di comune provenienza. Di Napoli, Leopardi credo ne avesse colto l’anima, iniziando a vivere come forse mai aveva fatto, fino a morirvi pur nel rimpianto di essere stato abbracciato dalla città ma non dai suoi intellettuali. Napoli, per quel che sto scoprendo, è dove il pensiero e la storia del pensiero si sciolgono nell’acqua che la bagna e nel fuoco che la minaccia. Un connubio impareggiabile che cova sotto la cenere di immagini patinate e di irrisolte questioni di emancipazione sociale e economica.

Napoli è dove il manoscritto dell’Infinito può essere letto dalle sale della Biblioteca Nazionale che affacciano sul golfo; dove, per dirla con Mauro Giancaspro, l’ex direttore di quella Biblioteca che vanta peraltro una raccolta straordinaria di papiri e manoscritti, la modernità è arrivata dopo, ma la bellezza è inarrivabile; dove le spoglie di Virgilio giacciono accanto a quelle di Leopardi; dove la Costituzione del reame delle due Sicilie del 1848 (appena ripubblicata da Liberilibri per la collana del Monitore costituzionale) ha anticipato elementi di modernizzazione elettorale e elementi istituzionali tipici del costituzionalismo liberale; dove la rifondazione post bellica, per profonda intuizione di Croce, passò dall’offerta di «un istituto di preparazione ed esercitazione alla storia». Ma Napoli non è solo pensiero storico. È anche pensiero vivo e contemporaneo, come quello delle quattro università che, radicate nel territorio, propagano la pratica del sapere anche fuori dalle loro aule.

Sono da poco a Napoli, ma quel poco che è bastato, ad esempio, per apprezzare il Sabato delle Idee, un’iniziativa ormai decennale promossa dall’Università Suor Orsola Benincasa insieme alla Fondazione SDN proprio per portare negli spazi cittadini il confronto sulle idee. Un’iniziativa che non solo si offre alla comunità napoletana, ma che lotta anche contro un vago senso di rassegnazione che ingiustamente e impropriamente incombe, non da ora, sulla città. Un obiettivo parallelo è quello della Fondazione Campania dei Festival, un’istituzione che produce importanti progetti culturali anche in zone a rischio. Entrambe le realtà non si sono fermate nemmeno in questi mesi di pandemia, e anzi potrebbero bene rappresentare, nel solco della tradizione napoletana del pensiero che si fa azione e intuizione sul territorio, un elemento di ripartenza intellettuale e di incoraggiamento emotivo.

Nei momenti più difficili, bisognerebbe partire dalle idee semplici e dai punti di forza esistenti. Ripartire da qui, dalle peculiarità di questo territorio, in cui «il pensiero non può essere che servo della natura, suo contemplatore in qualsiasi libro o nell’arte», come scrisse un’amante sofferta di Napoli come Anna Maria Ortese, potrebbe essere una di quelle idee semplici capaci di sfidare le difficoltà che ci attendono nei prossimi mesi.
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