La lotta ai clan ​questione politica

di Nino Daniele
Mercoledì 1 Dicembre 2021, 00:00 - Ultimo agg. 06:00
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Troppo rapidamente è stato archiviato il forte monito levatosi nell’incontro, svoltosi il 26 novembre nell’Aula Magna storica dell’Università Federico II, dedicato al rapporto tra i clan di camorra e Napoli nella fase storica e sociale attuale. Un incontro innovativo nella formula e nelle modalità di svolgimento che ha messo a confronto i vertici investigativi napoletani delle Forze dell’Ordine e autorevoli studiosi dei fenomeni mafiosi.

Il Procuratore Capo Giovanni Melillo nella sua introduzione (ma dello stesso tenore anche il saluto di apertura del Rettore Matteo Lorito) ha formulato un giudizio aspro sulla sottovalutazione che si avverte in Italia nei confronti del fenomeno camorristico, considerato una mafia minore o incompiuta. La camorra sarebbe connotata da strutturale incapacità, manifestata nel tempo lungo, a dotarsi di una organizzazione piramidale, una cupola gerarchica capace di governarne i conflitti e guidarne unitariamente strategie interessi, relazioni. Fisionomia che ne mostrerebbe una organica incapacità a compiere il salto di qualità (come e’ accaduto per esempio alla Ndrangheta, oggi una delle multinazionali del crimine più influenti) a mafia effettiva. Ciò la confinerebbe nei tratti gangsteristici di criminalità urbana o di criminalità di tipo mafioso secondaria e circoscritta territorialmente. Fanno eccezione i periodi “di guerra” nei quali si costituiscono cartelli ed alleanze, comunque precarie e reversibili nel mutare degli scenari e degli interessi in conflitto. Questa “idea debole” della camorra si riflette negativamente sugli sforzi di chi è impegnato in prima linea e legittima disimpegni forieri di gravi rischi. 

La “mappa” presentata e lo scenario evidenziato da un complesso e lungo lavoro indicano un’altra verità investigativa e confermano, anche per l’oggi, un altro giudizio storico, nel quale non può non venire in primo piano il rapporto tra camorra, impresa, politica.

La camorra è protagonista in scenari nazionali ed internazionali nei quali mostra di sapersi muovere come un “sistema” come del resto lo definiscono gli stessi affiliati, capi e gregari. 
Sistema duttile, con flessibilità e uso di strumenti “moderni”. Dotato di relazioni, supporti, cointeressenze in più ambiti economici, imprenditoriali, professionali e capace di generare convenienze ampie e stabili. Camorra imprenditrice si è più volte sottolineato. Non plebea e stracciona.

Sebbene questa singolare attitudine ad alimentare il proprio meccanismo di riproduzione utilizzando l’economia informale e sommersa, che assicura precarie forme di sopravvivenza ad ampi strati popolari marginali non è per nulla un fattore di minore pericolosità ma una delle specificità storiche dei clan camorristici. 

Una delle sue modalità più efficaci di incunearsi nei meccanismi della ristrutturazione tecnologica e produttiva (esternalizzazioni, subforniture ma anche transazioni digitali ecc.).

Marco Monnier, in una delle prime e storiche inchieste sulla camorra, riporta l’affermazione di un camorrista che si vantava della loro capacità di “saper trarre oro dai pidocchi”, di governare, cioè, l’insieme delle attività illegali, anche quelle più ripugnanti e disdicevoli.

La camorra ricerca e pratica il consenso e, perfino, la rappresentanza” sindacale” degli strati agli ultimi posti nella scala sociale. Ho adoperato altre volte la metafora, per descrivere questo aspetto della camorra, come la capacità di avere i piedi nel degrado e la testa nei mercati globali. La camorra si sostituisce allo Stato e tende a condizionarlo. Svolge una funzione regolatrice la’ dove lo Stato Moderno non arriva. Una vocazione antica declinata nelle nuove condizioni e in forme rinnovate.

Come la mafia, ha un agire politico. La domanda sul rapporto tra camorra ed illegalità diffusa è un fondamentale aspetto politico del problema camorra e del suo rapporto con Napoli. Quando ambiti vasti di attività economiche si svolgono fuori da regole e controlli, nel vuoto delle istituzioni si apre lo spazio per un’altra regolazione.

Non tutta l’illegalità è camorra. Ma la condizione perché lo diventi è la rinuncia dello Stato, un rassegnarsi alla coesistenza.

In quel confine ciò che decide è la volontà politica di sottrarre quotidianamente e con una strategia unitaria territorio e opportunità alla criminalità organizzata. La camorra è una questione sociale, culturale, e prima di tutto, politica. Di volontà politica. La crisi del movimento antimafia dovrebbe essere cercata anche nei cedimenti “populistici “e “giustizialisti”. 

Ma non sono questi, aspetti di una più generale assenza di una “idea di politica forte”?

Una “idea debole di politica”, la mancanza di un’etica pubblica dei diritti e dei doveri, il trasformismo che genera sfiducia e disaffezione democratica sono acqua per i pescecani. 

La “cattiva politica” e la camorra sono come vasi comunicanti. La lotta alla camorra pertanto non può che essere lotta di istituzioni e di popolo. L’auspicio è che il prossimo incontro possa essere con le reti Anticamorra.

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