La sua libertà era prevista per la fine dell’anno. Nel suo curriculum criminale vanta almeno una trentina di condanne definitive. Dalla Nco alla Nuova Famiglia, nelle ultime due relazioni che la Dia ha steso per delineare la geografia dei clan, il suo nome sarebbe ancora influente insieme a quello di Macario Mariniello. Pensiero che combacia con quello del sostituto procuratore Vincenzo Senatore, che inquadra la sua figura come quella di un boss ancora capace di imporsi su tutto il territorio. L’inchiesta che lo riguarda è quella dello scorso anno, «Un’altra storia», che permise alla Dda di delineare la presunta egemonia criminale dei fratelli Michele e Luigi Cuomo nella città capofila dell’Agro. Dopo quel fiume di arresti, l’attenzione si sarebbe spostata su Pignataro, il cui nome avrebbe rappresentato ancora una garanzia di protezione per pregiudicati e cittadini comuni. Il suo spessore criminale viene giustificato da una serie di episodi che i carabinieri del Ros ricostruiscono con dovizia di particolari. A lui ci si rivolge per far desistere un creditore ad Angri per bloccare un recupero di soldi nei confronti di un suo conoscente. Allo stesso modo, l’Antimafia parla di punizioni pianificate verso collaboratori di giustizia, del tentativo di far desistere una famiglia ad occupare un appartamento Ina Casa già nelle disponibilità di un’altra persona e di intimidire un ragazzo colpevole di aver rubato una stufa nel quartiere: «Lo “Zio” ti sta cercando, non ti mettere in condizione che fa una squadra e ti manda all’ospedale. Vai sotto al suo balcone e chiedi scusa». Ed è sempre a Pignataro che ci si rivolge per rimediare all’aggressione di un uomo verso una donna, per ottenere sconti su forniture di cemento che lo stesso 60enne avrebbe conferito a qualche ditta di Nocera e addirittura, per punire lo sgarro subito da un sodale da parte di una terza persona, destinatario di una «lezione» alla presenza del boss. Accusato di associazione di stampo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso, estorsione e violenza privata, Pignataro avrebbe contato su diversi sodali incaricati di concretizzare i suoi interessi, che spaziavano da quelli privati a quelli politici. L’ex boss si sarebbe mosso per far approvare una variante al Puc su di un terreno di proprietà della Diocesi di Nocera Inferiore, per racimolare voti per alcuni consiglieri comunali e per gestire l’affissione di manifesti di propaganda durante le ultime elezioni.
Quel senso di rispetto che pretendeva dagli altri emerge quando suo figlio Alessandro (24enne condannato di recente per due rapine a Nocera Superiore) viene picchiato da uno straniero, allo stadio, durante una partita della Nocerina. «Trovami questo, io non rispetto più il cane per il padrone.
Chi sta vicino a lui lo rimango a terra. Pigliamo l’appuntamento e parliamo. Quello che ha fatto ha fatto, mio figlio è un fetente, ma se tu sai che è mio figlio vieni e parli con me. Lo picchio io, non tu». Nel 2012 aveva deciso di parlare con il pm Vincenzo Montemurro. La Procura di Salerno era allora guidata dall’attuale procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. Fu la visione di un film in carcere a spingerlo a confessare l’omicidio della piccola Simonetta Lamberti. «Non potevo più vivere con quel rimorso», disse. Alla confessione seguì anche una lettera, nella quale lanciò un appello ai giovani, affinché stessero alla larga dalla vita criminale, «che porta solo distruzione». Condannato a 30 anni, con la collaborazione che lo salvò dall’ergastolo, fu lui a sparare alla piccola Simonetta da una Fiat 127. A spingerlo a collaborare sarebbe stato anche il suo compagno di cella, Angelo Moccia, boss di Afragola. L’omicidio si consumò lungo la Provinciale che collega il comune di Vietri sul Mare (il giudice Alfonso Lamberti era il vero obiettivo) a Cava. Per molti anni di Antonio Pignataro non si era sentito più parlare. Il suo nome era rimasto nell’ombra, fino al giorno della confessione. Difeso dall’avvocato Antonio Sarno, sarà interrogato nei prossimi giorni.