Il coraggio del parroco ​e quei silenzi colpevoli

di Leandro Del Gaudio
Mercoledì 24 Novembre 2021, 00:00 - Ultimo agg. 06:00
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Non devono cadere nel vuoto le parole di don Michele Pezzella. Non possono rimanere inascoltate quelle frasi con cui un giovane parroco napoletano ha invitato «i violenti a lasciare la casa di Dio», ricordando a tutti che «chi agisce con violenza non è gradito a messa e chi persevera con arroganza contro i più deboli non solo non è un buon cristiano ma non è gradito a messa». Parole che hanno scandito la fine di un’omelia domenicale, davanti a una sessantina di fedeli, all’interno della parrocchia Immacolata a Pizzofalcone, teatro dell’ennesimo episodio di arroganza criminale consumato sotto gli occhi di tanti e - cosa ancora più dolorosa - nella completa inerzia amministrativa dello Stato.

La storia è quella raccontata in questi giorni dal Mattino, che ha messo in moto la task force del sindaco Manfredi e del prefetto Palomba: la prof Carlotta, novantenne docente di Lettere, è attualmente in esilio in Irpinia, perché la sua abitazione (quella in cui ha vissuto per oltre sessanta anni, pagando l’affitto e le utenze) è stata devastata da una banda di abusivi. Al civico 35 di via Egiziaca a Pizzofalcone, soggetti legati al clan Elia hanno fatto irruzione (approfittando di una visita della docente alla figlia), portando via mobili, distruggendo la biblioteca di una vita, cancellando foto, ricordi, memoria. Ma chi c’è dietro questo scempio? 

Ci sono le stesse mani - ne siamo convinti - che hanno eretto statue, baldacchini, templi abusivi tra vicoli e piazzette cittadine, in onore di malviventi uccisi dal clan rivale, di boss in erba ammazzati all’apice della propria scalata criminale, di babyrapinatori colpiti a morte durante raid a mano armata ai danni di persone indifese. Ci sono le stesse mani che imbrattano gli edifici monumentali del centro storico, offesa continua del decoro di cittadini e visitatori napoletani. Facile individuare punti di contatto tra la storia dei murales e delle occupazioni abusive (a Ponticelli come ai Colli Aminei, a Pozzuoli come a Pizzofalcone): si tratta di azioni violente che durano da anni, sotto gli occhi di tutti, grazie all’incapacità degli enti locali di amministrare il proprio patrimonio, di curare beni che altrove avrebbero ben altra cura. Azioni partorite dalla stessa mentalità mafiosa, che spinge interi nuclei familiari a saccheggiare il patrimonio pubblico, potendo contare su una buona dose di impunità. E basta ascoltare la risposta resa al consigliere regionale dei Verdi Francesco Borrelli e alla giornalista del Mattino Giuliana Covella da una delle donne che occupano le case di Pizzofalcone: «Perché non andiamo via? Perché non ci accontentiamo di un alloggio popolare del Comune, lasciando un palazzo signorile come questo? Non abbiamo mai fatto la domanda, siamo entrati qua dentro e ci siamo presi queste abitazioni...».

Tutto chiaro, tutto maledettamente semplice, al punto tale da rendere assordanti le parole di don Michele Pezzella.

Proviamo ad assumere il suo punto di vista, al termine della messa, di fronte a una comunità di fedeli in maggioranza costituita da persona per bene, dove però non mancano mele marce. È a loro che si rivolge: «Non è gradito a messa, chi agisce con violenza contro persone deboli». Una mannaia che elimina compromessi, ambiguità, facili rendite di posizione e che rilancia il senso più alto di una missione che si ciba quotidianamente di cose semplici, vere. Parole che nascono dall’indignazione per la storia della donna di 90 anni che non può fare ritorno in una casa saccheggiata, ma anche per quanto subìto appena pochi giorni prima all’interno della propria parrocchia. È un particolare quest’ultimo raccontato ieri ai nostri lettori: c’è stato il tentativo da parte di qualcuno di occupare la “congrega” di don Michele, di prendersi lo spazio antistante la chiesa, dove negli ultimi due anni sono stati messi in campo dal giovane parroco progetti di aggregazione e rinascita mai visti da queste parti. Sport, laboratori di ceramica, mercatini solidali, teatro, finanche l’adozione delle pietre monumentali della chiesa. Un’attività che tiene impegnati i giovani del posto, che mette sullo stesso piano i figli dei professionisti come i bambini cresciuti tra i vicoli del Pallonetto, che rompe la diga invisibile che negli ultimi venti anni ha separato il borghese dal popolare. Un’attività che evidentemente ha infastidito qualcuno che, appena un mesetto fa aveva avuto addirittura l’arroganza di affrontare don Michele e di rivolgergli una domanda tagliente: «Padre, ci sono case da occupare da queste parti? Ci sono abitazioni che potrebbero servirci...». Provocazioni che qualcun altro avrebbe lasciato cadere nel vuoto, ma che hanno spinto un giovane parroco a scandire ad alta voce il senso della sua missione evangelica. E che dovrebbero spingere la parte sana della comunità napoletana a stringersi attorno a chi ha avuto il coraggio di chiamare le cose con il proprio nome. 

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