Napoli, città alla deriva prigioniera dell'attendismo

di Vittorio Del Tufo
Lunedì 22 Febbraio 2021, 23:19 - Ultimo agg. 23 Febbraio, 07:03
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Non sappiamo ancora dove ci porterà, e soprattutto se ci porterà da qualche parte, quel «civismo della speranza» evocato nei giorni scorsi da Enzo d’Errico sul Corriere del Mezzogiorno. La confusione è grande, per adesso, sotto il cielo di una città che, per citare i versi di una famosa poesia, «lentamente muore». Vorremmo far nostra la nota di ottimismo con la quale d’Errico conclude la sua analisi: Napoli non è giunta al capolinea. Forse non è al capolinea ma vi si sta avvicinando a passi da gigante, mostrando una notevole inclinazione al supplizio. Occorre un’enorme capacità di adattamento al ribasso, infatti, per continuare a vivere in una città che, senza girarci intorno, semplicemente non è più amministrata, e da tempo. Abbandonata a sé stessa, e alla sua autarchia, ben prima che il sindaco «emigrasse» in Calabria a curare la campagna elettorale per diventare governatore di quella Regione.

Civismo della speranza? Speriamo, è il caso di dire. Diciassette anni fa, ci pensò il filosofo Aldo Masullo a mobilitare la speranza con un «Manifesto per gli intellettuali per Napoli» rimasto, purtroppo, nel limbo delle buone e nobili intenzioni. In questi giorni, a proposito di civismo, assistiamo con sgomento all’iniziativa di un nutrito gruppo di intellettuali che si mobilita per difendere il murale di un baby-rapinatore ucciso da un carabiniere durante un tentativo di rapina finito nel sangue. Petizione che ha avuto l’unico effetto di disorientare l’opinione pubblica costringendo molti altri autorevoli esponenti del mondo della cultura a prenderne, imbarazzati, le distanze. Nell’attesa che il civismo opportunamente invocato produca qualcosa di più consono agli interessi della città, continuiamo a prendere sberle.

Assistiamo in questi giorni a un dibattito surreale, dentro e fuori i partiti, sull’opportunità che il voto comunale slitti al prossimo autunno. Come se i problemi della città potessero restare sullo sfondo, alla stregua di un fastidioso accidente. 

Colpisce che a tifare per il rinvio siano soprattutto quei partiti - Pd e M5S in testa - che in tutti questi anni non solo non sono stati capaci di dare la spallata definitiva a De Magistris ma soprattutto non sono riusciti a produrre una sola idea di città, una visione di futuro, per non parlare di un nome valido, un leader, da spendere sul fronte delle candidature. 

In particolare il Pd napoletano, già celebre per i suoi esercizi di tafazzismo, continua a guadagnare tempo, forse impaurito dall’idea di arrivare al voto con «poche idee e ben confuse», come suol dirsi. E mentre il governatore De Luca fa capire che non ha alcuna intenzione di accettare l’idea di un pentastellato alla guida della città, la principale preoccupazione dei vertici dem napoletani sembra essere quella di depotenziare i candidati già scesi in campo, come l’ex sindaco Bassolino, e quelli in procinto di farlo, come il pm Maresca, candidato in pectore del centrodestra, che a sua volta non riesce a sciogliere i suoi amletici e ormai stucchevoli dubbi.

Non solo: ricordiamo bene tutti i giochini e i giochetti, gli accorducoli di palazzo che hanno garantito nei mesi scorsi la sopravvivenza politica del sindaco in nome di orribili ed astrusi calcoli di convenienza politica.

Ricordiamo tutti non solo le ambiguità del Pd ma anche l’aiutino arrivato da una parte di Forza Italia che consentì a Dema di portare a casa l’approvazione del bilancio per il rotto della cuffia. E di prolungare l’agonia, la sua e la nostra. Piroette di palazzo lontane anni luce dai problemi veri della città, alle prese con una pandemia che non allenta la morsa e una crisi economica che ha messo in ginocchio interi settori produttivi. Quei giochi e giochetti hanno avuto l’unico effetto di impedire l’arrivo di un Commissario, il quale avrebbe avuto almeno la possibilità di occuparsi dell’ordinaria amministrazione. Hai detto niente, di questi tempi.

Paghiamo oggi il prezzo di quelle scelleratezze. Mentre Napoli cade (non solo simbolicamente) a pezzi, mentre molte famiglie non riescono più nemmeno a mettere insieme il pranzo con la cena, il nostro orizzonte è interamente occupato dalle liturgie della politica, che spingono la città in un limbo di inconcludenza nel quale ogni problema è destinato a incancrenirsi. Avevamo segnalato per tempo il rischio che la città venisse risucchiata in un’eterna sala d’attesa o in una lunga vigilia elettorale nella quale tutti i progetti restano al palo. Le schermaglie politiche a cui assistiamo da settimane - dalle quali non scaturisce alcuna idea di futuro, di ripartenza - non fanno che confermare questo timore. Che il territorio metropolitano sia senza governo è sotto gli occhi di tutti: eppure nella generale confusione avanzano solo gli arruffati calcoli dei partiti che preferiscono prendere tempo per superare antiche faide interne e tessere nuove trame alla luce di un quadro nazionale rivoluzionato dal governo di Mario Draghi.

Intanto tutto ci scorre addosso, panta rei: anche che De Magistris, dopo un decennio di cattiva amministrazione, ci imponga un personalissimo «otto settembre» che rischia di durare un’eternità, dirigendo bellamente altrove i suoi incantesimi, le sue flotte borboniche e i suoi castelli di parole al vento. Scappando in Calabria, verso nuove avventure, anziché occuparsi della movida fuori controllo, della città senza regole, delle gallerie chiuse a tempo indeterminato, del disastro manutenzione, delle carcasse di scooter e di auto da cui tracimano ormai prati fioriti. E lasciandoci nelle mani di un vicesindaco non pervenuto, di un assessore candidato sindaco, Alessandra Clemente, travolta dalle troppe deleghe e da mille emergenze, di un assessore alla cultura che custodisce in casa lacrimogeni spacciandoli per bengala inesplosi di qualche capodanno fa, e tace davanti al pm che la interroga sui capi ultrà che entrano ed escono da Palazzo San Giacomo come fosse il gabinetto di casa loro.

Mentre nessuno, ormai più nessuno governa questa martoriata e bellissima città sempre più scassata, svilita, abbandonata al degrado. Un paese della cuccagna nel quale nessuno ha ormai più voglia di far festa. 

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