Non basta il sindaco, cambiamo i consiglieri

di Gigi Di Fiore
Venerdì 20 Novembre 2020, 00:00 - Ultimo agg. 15:38
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Forse la memoria del passato rischia di trasformarsi in nostalgia, complice il trascorrere degli anni. Ma guardare lo spettacolo dell’attuale Consiglio comunale e raffrontarlo a quello di qualche anno fa porta all’avvilimento.

Chi ne ha viste tante, ricorda una Sala dei Baroni dove consiglieri erano Maurizio Valenzi, Andrea Geremicca, ma anche Marco Pannella, Giorgio Almirante e Giuseppe Galasso. Noblesse oblige. Quando si ascoltavano i loro interventi in aula, si assisteva a lezioni di dialettica politica. Oggi, il livello qualitativo ispirerebbe il famoso gesto televisivo di Riccardo Pazzaglia di arboriana memoria. Lo ha denunciato anche Ernesto Mazzetti sul «Corriere del Mezzogiorno», evidenziando come la contrazione quantitativa dei consiglieri comunali, diminuiti negli anni da 80 a 41, sia andata di pari passo con una graduale diminuzione del loro livello qualitativo.

In Consiglio comunale, c’è chi parla di tragedia ipotizzando l’arrivo del commissario prefettizio, con toni da fine del mondo. Toni che fanno a cazzotti con il decreto legislativo del 2000, che tra sindaco e commissario non fa differenza di poteri, né limitazioni di interventi. C’è chi si aggrappa alla sua carica, vuole «salvare la sua poltroncina» ironizza Mario Rusciano. Una difesa del proprio orticello, nell’ignoranza della nostra storia politica comunale. Quando arrivò Antonio Bassolino nel 1993, ereditò un Comune in default, nello sfascio del post-tangentopoli. Eppure si rimboccò le maniche. Quando Maurizio Valenzi mise piede nella stanza del sindaco, trovò un disavanzo comunale da far spavento e un cortile affollato di questuanti. Eppure si rimboccò le maniche. Con concretezza, che costa più fatica dei discorsi e delle polemiche quotidiane.

Le pagine si voltano e si deve avere il coraggio di non aggrapparsi al proprio particolare. Da più parti si invoca una figura di sindaco concreto, autorevole, credibile, che sappia affrontare con capacità i problemi e la gestione dei servizi. Questo chiedono i napoletani, costretti a fare i conti con la precarietà quotidiana e i disservizi. Solo i più accaniti tifosi dei social si appassionano alle guerre quotidiane tra istituzioni, o si intrigano ai proclami sui massimi sistemi nazionali. Gli altri sognano una città meno caotica, da vivere con serenità quando l’emergenza Covid sarà finita.

Napoli è sicuramente una metropoli difficile da amministrare, ma ora rischia di essere consegnata al definitivo caos.

Lo sottovalutano molti consiglieri comunali, in preda a loro calcoli di bottega, prigionieri di antipatie personali, di illusioni da piccolo potere fuori dalla realtà di questi difficili mesi di un’emergenza senza precedenti.

Il coraggio di voltare pagina evidentemente manca a chi non sa se riuscirà a strappare la conferma a consigliere comunale. E quindi, meglio vivere alla giornata per 7 mesi che pensare al futuro della città. Il prossimo sindaco troverà molte macerie nel bilancio comunale, avrà difficoltà a impegnarsi su qualsiasi cosa prigioniero di conti per nulla rassicuranti. Una transizione commissariale aiuterebbe a fare chiarezza prima delle elezioni. Ma gestire una campagna elettorale da Palazzo San Giacomo sicuramente assicura più forza politica. Un gioco reso più facile dalla qualità di alcuni consiglieri comunali. In questi anni, l’opposizione non ha mai saputo fare il suo lavoro istituzionale. Chi ricorda un’interrogazione, un’iniziativa, una proposta di rilievo delle formazioni contrarie alla giunta? Napoli è diventata una città priva di opposizione consiliare. Forse esisteva ai tempi de «Le mani della città» e Carlo Fermariello, consigliere comunale nel 1983, che in quel film fu interprete di se stesso nel ruolo di oppositore, lo ricordava. Ma oggi, nell’era post-bassoliniana chi ha visto più l’opposizione comunale? De Magistris ha potuto fare tutto e il contrario di tutto. Sono le conseguenze di una decadenza della politica cittadina che si è andata deteriorando nel tempo. Lo spettacolo di questi giorni, con gli annunciati salti della quaglia non aiutano ad allontanare questa idea.

Certo, la storia del Consiglio comunale di Napoli ha avuto nel 1961 i famosi «sette puttani» folgorati da Alberto Giovannini direttore del «Roma», che lasciarono Achille Lauro per passare con la Dc; ha avuto l’astensione della Dc sul bilancio delle giunte Valenzi nel 1976 o i voti del Msi «buttati in faccia» come dichiarò in aula Almirante, per salvare nel 1984 la giunta quadripartito di Franco Picardi. Ma erano altri tempi, con il sindaco nominato dal Consiglio comunale e non direttamente dagli elettori come oggi. Altri tempi. Oggi, in un deserto affollato di nani, De Magistris può fare i suoi calcoli e spuntarla ancora una volta. Tanto, per molti consiglieri comunali, sette mesi persi sono solo il sospirato prolungamento di un ruolo politico di cui, fuori da Napoli, pochi si accorgono.

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