Napoli, il centro storico è in agonia: ​«Muti ha ragione, adesso basta»

Napoli, il centro storico è in agonia: «Muti ha ragione, adesso basta»
di Nunzia Marciano
Domenica 1 Agosto 2021, 00:00 - Ultimo agg. 18:48
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Non chiamatelo (solo) “degrado”: il centro storico di Napoli non è, infatti, semplicemente abbandonato, ma rappresenta un vero dolore per chi è stato abituato a vederne (un tempo) la bellezza, come è stato per il maestro Riccardo Muti che non vorrebbe “morire e vedere il centro storico di Napoli imbrattato. Mi addolora”, ha detto, “il mancato rispetto del bello e dell’armonia”. Ospite alla celebrazione in onore dei suoi 80 anni al Conservatorio di San Pietro a Majella, Muti, che proprio lì ha conosciuto l’amore per la musica, non ha potuto fare a meno di sottolineare lo stato di abbandono dei luoghi, teatro della musica più autentica e storica di Napoli, dal ricordo ancora vivo negli artigiani delle botteghe di arti musicali e librarie intorno al Conservatorio, che non nascondono una profonda amarezza, al di là degli investimenti milionari raccontati dalle istituzioni: «Muti ha ragione, la differenza è che lui è tornato qui dopo anni e lo stato penoso gli è saltato agli occhi: noi siamo purtroppo abituati, con dolore naturalmente», racconta Salvatore Simeoli, del centenario negozio di musica omonimo, «La mattina spazziamo davanti ai negozi, e spendiamo centinaia di euro tra disinfettanti e bustine per topi. Un tempo facevo fotografie di queste cose, poi ho smesso: era inutile». 


E a chi di arte è abituato a vivere, basta poco per sciorinare una lista di amari in bocca, consapevoli che nulla sarà fatto: «Non c’è più attenzione neppure all’aspetto umano», racconta Antonio Ferrieri, libraio della libreria “Colonnese”: «Muti ha ragione: noi napoletani, non istituzioni, non enti, noi che viviamo la città, non siamo in grado di sfruttare le nostre bellezze. Come a dire, abbiamo una meravigliosa bicicletta che non sappiamo guidare. Noi dei negozi facciamo opera di nettezza urbana senza controlli. Qui di sera è terra di nessuno, manca persino l’illuminazione. Resistiamo ma presto spariranno anche i turisti». A fare da coro a Muti anche chi si occupa di ristorazione: «Qui l’attenzione è sempre altalenante, in alcuni momenti manca totalmente. E penso che buona parte della responsabilità sia nostra, dei napoletani, non solo delle istituzioni: siamo noi che dovremmo dare il buon esempio», dice Gennaro Tommasino del ristorante Bellini. «Sono stato 40 anni nella musica, ero amico di Muti quando era studente proprio in queste strade. Oggi c’è solo tanta confusione, spesso dovuta ai tantissimi giovani che non hanno rispetto di questi luoghi storici. Nemmeno noi adulti facciamo niente: come si dice a Napoli, tiramm’ à campà»: considerazioni piene di rammarico queste di Francesco Viscione, bottegaio presepiale che lì in quella via sta dal 1951, 70 anni: «Prima c’era più coscienza, più umanità, c’era l’usanza di tramandare e di raccontare, era la saggezza della donna e dell’uomo che trasmettevano passioni e amore vero per questa città.

Non si sapeva né leggere né scrivere ma si sapeva raccontare». Attraversare gli stretti ma caratteristici vicoli di quel micro cosmo tra piazza Luigi Miraglia e piazza Bellini, vuol dire rassegnarsi ad imbratti di ogni tipo, a cestini strapieni, ad impalcature e lavori in corso quasi ovunque, e persino a sedie lasciate lì quasi a mo’ di discarica. 

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Un ossimoro se dalla strada si entra poi nello stesso Conservatorio, baluardo di speranza in una zona a cui di speranze ne restano poche: «Muti ha fatto una fotografia del luogo; ha ragione come si fa a non dirlo e a non dargli ragione?», asserisce Carmine Santaniello, direttore del Conservatorio: «Siamo l’oasi nel deserto del centro storico anche se gli allievi lo vivono in modo diverso. Sono rispettosi dei luoghi e poi diciamocelo, anche così Napoli è sempre bella: è sempre una capitale di cultura, ha la musica ovunque, persino quando parliamo abbiamo musicalità», dice Santaniello, «Quello che ha detto Muti è reale, d’altronde il maestro era abituato alla Napoli di 60 anni fa, in tempi diversi e adesso nota di più ciò che noi vediamo sempre. Per carità, è giusto dirlo ma se si va Roma, Milano e addirittura Firenze, i problemi sono più diffusi di quanto si pensi». 
 

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