Gli itinerari della bellezza ​alternativa alla movida

di Titti Marrone
Martedì 7 Giugno 2022, 00:00
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Una delle scene più avvincenti del magnifico film Nostalgia di Mario Martone mostra un gruppo di ragazzi di varie etnie e provenienze geografico-sociali ballare al ritmo di una trascinante musica egiziana dal timbro mediterraneo e perciò familiare a tutti, napoletani, maghrebini, nigeriani. Danzando insieme, i giovani radunati nel cortile della parrocchia alla Sanità compongono una socialità armonica che neutralizza la violenza, la diffidenza e tutto il campionario della bruttezza nelle relazioni interumane. Quella scena si può assumere a paradigma di una pedagogia difficilissima e fondamentale, a volte irrisa e considerata con sufficienza dai “benaltristi”: l’educazione alla bellezza. Importante ovunque, a Napoli è necessaria anche più che in altri luoghi. Perché conoscere e amare la bellezza diffusa intorno a noi - in forma di musica, arte, teatro e nei tanti altri modi in cui a Napoli si declina - può aiutare a preservarla e a goderne. Anche come antidoto a una deriva d’indifferenza, autismo sociale e aggressività che dopo due anni di Covid sembra prendere il sopravvento tra molti giovani di ogni classe sociale.

I tanti segni di degrado che deturpano la città dimostrano che essere immersi nella bellezza non equivale a vederla, riconoscerla come proprio patrimonio né a rispettarla. Tutt’altro. I vandalismi delle scritte sull’obelisco di piazza del Gesù, sul colonnato di piazza del Plebiscito, sul belvedere della Floridiana e su tanti monumenti cittadini stanno a dire di un accanimento che sembrerebbe suscitato proprio dalla voglia di insozzare la bellezza invece di proteggerla, come per un atto gratuito e premeditato di sfregio cieco. 

È una forma di violenza anche questa, dilagante tra ragazzi cui bisognerebbe aprire gli occhi, perché è proprio vero quel che diceva Peppino Impastato, la bruttezza è negli occhi di chi guarda. E la famosa teoria “delle finestre rotte” di Wilson e Kelling, che suggeriva d’investire risorse umane ed economiche,piuttosto che in misure repressive, nella cura dell’esistente e nel rispetto della civile convivenza, torna più che mai attuale. 

Proprio nel solco dell’educazione alla bellezza si muove il progetto “Napoli come back-Torniamo a vivere insieme”, messo a punto dall’università Suor Orsola Benincasa di concerto con il Comune di Napoli, il Coni e un insieme di associazioni, ordini professionali e federazioni sportive.

L’ha ideato un medico esperto di prevenzione e cure delle dipendenze, Fabio Curcio, lo hanno realizzato duecento studenti, lo ha coordinato e messo a punto l’italianista Paola Villani, nella convinzione che una full immersion di socialità tra ragazzi nel segno del bello possa attutire i pesanti strascichi della reclusione da Covid foriera d’incremento di diffidenze e violenza. 

Per alcuni mesi c’è stato un corso di formazione sulla storia del “luogo originario”, Castel dell’Ovo, tenuto da giovani e laureandi dell’ateneo in Beni Culturali a studenti del liceo Pansini. Poi la ricerca di peculiarità storiche e tradizioni enogastronomiche del Borgo Marinari. Infine la messa a punto di un itinerario guidato all’interno del castello, sull’esempio dell’iniziativa La scuola adotta un monumento inventato da Mirella Barracco e la sua Napoli 99. Così per tre giornate, il 9 giugno, il 14 luglio e il 22 settembre, i ragazzi stessi faranno da guide ai visitatori del Borgo, per l’occasione rimesso in sesto nelle parti di pavimentazione da tempo danneggiata.

La prof Villani tiene molto alla particolarità del progetto, che consiste nell’affidare in toto ai ragazzi la gestione delle tre giornate: e oltre all’itinerario guidato ed a tre convegni, Casteldell’Ovo ospiterà musica dal vivo, ballo acrobatico, performance varie, specialità eno-gastronomiche. E già Paola Villani immagina un prosieguo per il prossimo anno, allargando a nuovi istituti e nuove tipologie di studenti l’iniziativa e magari passando ad affidare i laboratori formativi ai liceali incaricati di guidare i ragazzi delle medie inferiori, in un meccanismo a cascata.

Certo, restano sul tappeto i grandi temi della scarsità di lavoro per i giovani, della violenza, della criminalità dilagante. Ma aprire così le aule, inducendo chi lo frequenta a “entrare” nella città come in un corpo vivo con le competenze che ha acquisito, vuol dire per un ateneo fare al meglio la propria parte. Mettere in campo strumenti culturali preziosi, capaci di affiancare i provvedimenti di ordine pubblico e non meno importanti.
 

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