L'oltraggio a Caruso nella città senza memoria

di Pietro Gargano
Mercoledì 5 Agosto 2020, 00:04 - Ultimo agg. 07:38
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A Enrico Caruso attribuiscono una sferzante frase su Napoli: «’O presepio è bello ma ‘e pasture so’ malamente»: una lunga cronaca sembra dargli ragione. L’ultimo oltraggio è il languore il cui versa il giardino alle spalle della casa natale, agli Ottocalli, che doveva diventare un parco nel suo nome.

L’anno prossimo, il due agosto, cade un secolo dalla morte del grande tenore. Le promesse fatalmente si moltiplicheranno, come accade quando è in arrivo danaro pubblico. L’idea più concreta, anche perché realizzabile subito, appare quella di Franco Iacono, già eurodeputato, e della sua commissione di saggi: creare un Museo Caruso, magari nel piccolo appartamento in cui il cantante vide la luce, disponibile a un prezzo giusto. Iacono ha impegnato il ministro per la Cultura, Franceschini, perché verifichi la volontà di Aldo Mancusi di cedere tutti i pezzi del suo museo di New York. Quella collezione, con l’altra di Guido d’Onofrio ospitata nel ristorante Caruso a Sorrento di Paolo Esposito, farebbero di Napoli la sede del museo più importante del mondo.

Caruso è ricordato nel mondo con tracce indelebili, eppure resta un esule nella città che gli diede i natali. Proviamo a tracciare le differenze. Caruso ha una stella sulla Walk of Fame, in una mattonella del marciapiede di Hollywood Boulevard. Ha un museo a Brooklyn con mostre itineranti. Ha un altro museo a Lastra a Signa, Firenze, nella Villa Bellosguardo in cui visse tormentate stagioni. Ha una celebre canzone di Lucio Dalla. Ha un busto e un ritratto nel Teatro Metropolitan di New York.

Ha ristoranti dovunque, a partire da Milano. Ha il nome sulle ricette di bucatini con le zucchine. Ha un auditorium nel teatro di Torre del Lago. Ha perfino un asteroide, il 37573. E a Napoli? La traccia più imponente è l’immenso vuoto di ricordo. In cent’anni la città gli ha dedicato un vicoletto lungo una cinquantina di metri all’Arenella. E un busto, costato caro, nei giardinetti di piazza Ottocalli, spesso assediato dalla sporcizia.
La cappella privata nel cimitero di Santa Maria del Pianto - a pochi metri dalla tomba di Totò, anch’egli in attesa di museo - ha visto l’ultimo restauro istituzionale al tempo del sindaco Rosa Russo Iervolino, per sanare infiltrazioni d’acqua, Nel 2014 Gianfranco Caruso e la sorella Annamaria, pronipoti del tenore, hanno di nuovo impermeabilizzato il tetto della cappella, però la volta non si è mai completamente asciugata, anzi le macchie si sono estese fino a far cadere pezzi di stucchi, intonaco e calcinacci. I discendenti ora si chiedono: «Per onorare un personaggio così illustre bisognerebbe traslarne le spoglie in America? È una provocazione da lanciare». Per fortuna è solo una provocazione. gli eredi di Enrico Caruso conoscono bene l’intensità del rapporto fra il grande tenore e la sua città, nonostante le incomprensioni. Ne rispetteranno i desideri. Ma è sicuro che in America c’è chi sarebbe pronto a onorare le spoglie del tenore molto meglio di noi, che questo schiaffo lo meriteremmo.

L’anno scorso, ad aggiungere un rigo alla striminzita lista degli onori napoletani, è stato inaugurato un murale raffigurante Caruso e realizzato dal writer Corrado Teso. La lista delle omissioni è invece sterminata. E, per giunta, è una prova di stupidità perché il nome del cantante smuove ancora interessi, e quindi buoni affari, in tutto il mondo. Perché il suo ricordo vivo è certo di richiamo per i turisti. 

L’ingratitudine della città nei confronti del napoletano più celebre nel mondo è intollerabile e dura da troppo tempo. Lasciare in quelle condizioni la Cappella sarebbe una profanazione. Tra l’altro, nel bilancio di un ente locale, la spesa è modesta. Perfino gli sponsor privati sono latitanti? E poi: è davvero impossibile trovare un strada più degna dell’attuale piccola traversa? Deve rimanere in un limbo a casa natale di Ottocalli, quando potrebbe essere la base di un progetto diffuso che serva anche a rilanciare un rione trascurato? 
Le promesse non mantenute sono tante. Venne Luciano Pavarotti, si affacciò al balcone della casa di via San Giovanniello numero 8, si fece carico di trovare i fondi per onorare l’immenso precursore. Tanti dissero sì. Chiacchiere. A fine anni Novanta, sindaco Bassolino, fu annunciata una degna manifestazione in onore di Caruso. I nipoti stilarono un preventivo di sei milioni di lire per una serata nella sala Gemito, con mostra di cimeli. Ma i costi, raccontano, vennero fatti lievitare fino a trenta milioni e non vennero nemmeno rimborsati per le spese di viaggio e trasporto. «Fu allora che ci venne promesso un museo nella casa di San Giovanniello che il Comune avrebbe dovuto acquistare e inserire in un percorso artistico-culturale. Tutto è rimasto lettera morta».

Enrico Caruso ebbe con Napoli un rapporto di amore-odio, l’amore fu prevalente. Volle morire qui. In agonia, nella stanza dell’albergo Vesuvio trasformata in ospedale, al capezzale del tenore restò solo Giuseppe Moscati, futuro santo miracoloso. Gli prese le mani e disse: «Hai consultato molti medici, però hai dimenticato quello più importante, Gesù Cristo».

Pregarono in silenzio, salì un lieve rantolo. Il morente non ebbe modo di salutare il sole levante. Alle 7 tornarono gli altri professori e scossero la testa. In città gli strilloni del Mattino gridavano il titolo «Enrico Caruso è agonizzante». Incerte le ultime parole. «Mi manca l’aria» o «Calore… dolore» o «Do-ro, Do, Do-Ro» oppure «Lasciatemi morire». Il più bravo tenore del mondò spirò alle 9 e 7 minuti di martedì 2 agosto 1921 proprio di fronte allo stabilimento balneare in cui aveva cantato da ragazzo posteggiatore. Avrebbe compiuto quarantott’anni diciannove giorni dopo. Sarà bello il giorno in cui il comandante dell’aereo diretto a Capodichino annuncerà: «Stiamo per atterrare all’aeroporto Enrico Caruso». Il tenore lo merita anche perché fu un esempio di vero napoletano, lontano dai luoghi comuni, gran faticatore, ardito a misurarsi col nuovo (fu lui a determinare l’industria del disco), campione di misura pure nella recitazione. Tutto il mondo lo onora, Napoli no, e non è possibile.
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