Fuga dai banchi, sì alle sanzioni ma la vera sfida è investire

di Fabrizio Coscia
Venerdì 20 Maggio 2022, 00:00 - Ultimo agg. 06:00
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Revocare il reddito di cittadinanza a chi non manda i figli a scuola. È l’ipotesi messa sul tavolo del comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza convocato in Prefettura per fare il punto sugli ultimi episodi di violenza giovanile registrati a Napoli. 

È una scelta efficace? È sufficiente individuare un nesso (per quanto evidente) tra baby-gang e dispersione scolastica per rendere idonea una misura del genere? Ecco, non vorrei che in tempi di guerra, la mania del pacchetto di sanzioni prenda la mano anche alle nostre autorità locali. E inoltre, ogni volta che si pensa di risolvere una questione sociale con un provvedimento che va a colpire l’ultimo anello di una lunga catena di responsabilità, il rischio di guardare il dito invece della luna è sempre in agguato. 

Intanto, mi pare una dichiarazione di resa da parte delle istituzioni, dal momento che, non fa mai male ricordarlo, sarebbe «compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale», che «impediscono il pieno sviluppo della persona umana», come recita l’articolo 3 della nostra Costituzione. In altre parole, dovremmo chiederci, più semplicemente, che sforzi sono stati compiuti dallo Stato in questi anni per non lasciare indietro nessuno? Che cosa è stato fatto in termini di investimenti per evitare che in Campania lo 0,74% degli alunni preferissero la strada alle aule? L’«allontanamento» dalla scuola è sempre la rappresentazione di un fallimento devastante, sia per il singolo che lo subisce, sia per la società intera che lo permette. E allora? Certo non fa ben sperare, da questo punto di vista, la scelta del taglio di quasi diecimila cattedre previsto dal 2026 nella bozza del Def approvata dal Consiglio dei ministri.

Nel complesso, l’obiettivo dichiarato è diminuire la spesa per l’istruzione dal 4 al al 3,4% del Pil nei prossimi anni, proseguendo così nel progetto di demolizione della scuola pubblica iniziata dalla Gelmini-Tremonti nel 2008, o forse anche prima.

Se questa è la strada imboccata, non ci sarà sanzione che possa rivelarsi risolutiva. Anche perché la politica dei tagli all’istruzione è solo la punta dell’iceberg di una dissennata gara al risparmio, laddove la prima arma della lotta alla dispersione scolastica dovrebbe essere l’investimento economico nella prevenzione. Allora se limitarsi a ricorrere alla «sanzione» delle famiglie è un modo per prendere atto della sconfitta e di una mancata assunzione di responsabilità, può andare anche bene, ma bisognerebbe anche capire quali altri strumenti compensativi si intendono mettere in campo per risolvere un problema che in qualsiasi paese civile sarebbe una priorità assoluta per la politica.

Voglio ricordare solo che Napoli è stata la città dove è nato, nel 1998, il Progetto Chance, quello dei Maestri di Strada, un’esperienza didattica straordinaria, invidiata a livello europeo, che Comune e Regione hanno lasciato morire non si sa perché, per inadempienza, per indifferenza, per mancanza di fondi. La solita storia. Ma quell’esperienza è servita a capire, nel bene e nel male, che il lavoro da fare con i ragazzi «difficili» è soprattutto un lavoro di inclusione, di accoglienza e di ascolto. È un lavoro di assunzione di responsabilità da parte di tutti: docenti, genitori, alunni, enti locali e associazioni non profit (la cui presenza mi pare sempre più imprescindibile). Solo così, con lo sforzo e la volontà di tutti, le aule possono diventare una reale alternativa alla strada, uno spazio di dissociazione dai modelli violenti che i ragazzi trovano nei loro contesti. Le sanzioni possono spaventare, ma non sono la risposta adeguata a una domanda più profonda e più complessa. La domanda che riguarda il ruolo che decidiamo di dare, come società, alla scuola.

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