Galleria Umberto, bene il restyling ​ma è il rilancio la grande sfida

di Fabrizio Coscia
Giovedì 7 Luglio 2022, 00:00 - Ultimo agg. 07:00
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È un segnale incoraggiante, certo, quello che arriva dalla giunta comunale di Napoli, che ha approvato l’intervento di restauro della pavimentazione in marmo della Galleria Umberto I. Il sindaco aveva promesso, dopo la mobilitazione lanciata dal «Mattino», e adesso le buone intenzioni si sono concretizzate in un importo di un milione e ottocentomila euro per i lavori (che rientrano nelle opere finanziate con le risorse del Patto per Napoli - Fondo di Sviluppo e Coesione): finalmente il piano calpestabile della Galleria sarà rimesso a nuovo, e considerate le condizioni vergognose in cui versa, possiamo senz’altro dire che si tratta di una buona notizia.

Ora, però, bisogna fare in modo che il restauro non resti un’operazione fine a se stessa, e che i problemi della Galleria non tornino a ripresentarsi in poco tempo. Va benissimo, infatti, restaurare il pavimento in marmo con gli inserti in mosaico e va benissimo la pulizia dell’intera pavimentazione, ma se di sera la Galleria continuerà a essere una terra di nessuno dove si può liberamente giocare a pallone, correre con gli skateboard e altro, se continuerà a ospitare clochard, a essere disertata dalla polizia, il degrado si ripresenterà molto presto. Cosa fare, dunque? Innanzitutto occorre garantire una vigilanza notturna e una presenza costante delle forze dell’ordine durante il giorno. E in questo senso il fatto che nei lavori di restauro siano previsti anche la ristrutturazione e l’allestimento di un immobile all’interno della Galleria per creare una postazione per la polizia locale ci fa ben sperare. Ma non basta. È l’intera destinazione d’uso che va ripensata. 

Non è possibile pensare di mantenere la qualità dell’offerta dei servizi attuale, con i negozi sfitti e un Mc Donald’s come unico esercizio pubblico di ristorazione (a parte i bar). Perché non ipotizzare la presenza di griffe, insegne dei negozi uniformi, tavolini dei bar regolamentati, molteplici ristorantini aperti anche la sera? Oppure iniziative culturali, mostre d’arte, presentazioni di libri e spettacoli teatrali (pensiamo solo allo storico Salone Margherita)? Perché non rendere questo spazio davvero un salotto accogliente, dove la gente possa decidere di trascorrere del tempo sentendosi sicura? Il modello cui guardare è, naturalmente, quello dei «passages» parigini, studiati da Walter Benjamin come un salto epocale nella vita dell’uomo: uno spazio fluido tra privato e pubblico, che non è nato con la funzione comunitaria della piazza, ma con quella attrattiva che favorisce la flânerie, la «perdita di tempo», l’andamento casuale, tutto ciò che oggi risponde al nome di «shopping».

A Parigi, i «passage» sono pensati per soddisfare diverse esigenze: ci sono quelli con vocazione più spiccatamente commerciale, con boutique e negozi di lusso, quelli con una maggioranza di ristoranti, per gli impiegati della zona, quelli più turistici (che ospitano anche alcuni hotel), e quelli culturali, con gallerie d’arte e librerie.

In altre parole, ciascun «passage» ha una sua precisa identità. Senza bisogno di andare troppo lontano, basterebbe però guardare alla Galleria Vittorio Emanuele di Milano, dove la manutenzione, l’omogeneità delle insegne (tutte in nero con il logo a scritte dorate), il decoro, l’illuminazione, l’indotto (con boutique di Prada e Luisa Spagnoli, e il ristorante di Cracco) ne fanno un modello vincente da perseguire. Il punto è proprio questo, però: si tratta di decidere che identità dare alla nostra Galleria, come fare in modo che incida sul territorio urbano e sulla cittadinanza come un polo attrattivo, di giorno e di sera. Se continua a restare un contenitore amorfo, abbandonato al suo destino e alle baby-gang di turno, nessun intervento di restyling sarà sufficiente a salvarla da un degrado perenne. 

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