Napoli, giocatori, allenatore: quanti errori

di ​Francesco De Luca
Mercoledì 6 Novembre 2019, 22:43
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C’è una differenza profonda tra la rivolta dei calciatori del Napoli contro il loro allenatore Bianchi nel lontano 1988 e quella degli azzurri di oggi contro il presidente De Laurentiis l’altra sera, con il rifiuto di tornare in ritiro dopo la gara di Champions. Trentun anni fa Garella lesse un comunicato contro il tecnico a una giornata dalla fine del campionato, ormai ceduto al Milan in cui giocava Ancelotti. Adesso neanche è trascorso un terzo della stagione ed è tutto in gioco. 

Anzi, è tutto a rischio dopo l’ammutinamento di calciatori capricciosi che rifiutano le disposizioni della società e delegittimano il loro allenatore, perché Ancelotti si è diretto verso Castel Volturno mentre i suoi ragazzi - quelli che lo abbracciarono forte dopo la vittoria a Salisburgo: era una sceneggiata? - andavano a casa. Mr. Champions ha subìto un pesante uno-due: prima ha dovuto accettare il diktat di De Laurentiis, raramente incline a decisioni populiste ma dopo la sconfitta a Roma furioso come il più appassionato tifoso, sul ritiro; poi ha visto la squadra voltargli le spalle. E questo non può che incidere sui rapporti all’interno di uno spogliatoio in cui le prime crepe si erano intraviste a inizio ottobre, nello stadio di Genk, quando Insigne e Ghoulam erano stati spediti in tribuna e ovviamente non perché l’Uefa dispone la presenza di soli sette giocatori in panchina.

Ieri, a poche ore dalla rivolta di Fuorigrotta, poteva accadere di tutto. E invece De Laurentiis ha formalmente attribuito ad Ancelotti la decisione sui futuri eventuali ritiri (ma perché non gliela aveva assegnata dopo Roma-Napoli?) e ha annunciato mosse azioni legali nei confronti degli azzurri, anche fuori dalla giurisprudenza sportiva, come la richiesta di risarcimento danni. Alla vigilia della partita col Salisburgo il presidente aveva detto che «non può essere l’allenatore a mandare in ritiro la squadra: è un compito della società» e aveva definito i giocatori «tutti grandi professionisti: dimostreranno di saper onorare la nostra maglia». Doveva essere così ma non è stato. I calciatori hanno disatteso un suo ordine, tutti in ritiro fino al Genoa, e adesso rischiano di doversi presentare in tribunale. Il ritiro è stato dichiarato concluso in questo caos, con uno spogliatoio fuori controllo. Grave in particolare l’atteggiamento del napoletano Insigne: legga l’intervista di Bruscolotti sul «Mattino» per capire come si fa il capitano. L’anticipata interruzione è stata di fatto decisa dai giocatori più che da Ancelotti e De Laurentiis, un presidente forte che ha una società debole. Ma dov’erano i dirigenti mentre cominciava ad ardere il fuoco negli spogliatoi di Castel Volturno? A contare i giorni di allenamento di Lozano e il numero delle partite giocate insieme da Koulibaly e Manolas? A cercare alibi per prestazioni al di sotto degli investimenti effettuati sul mercato estivo? Quel gesto di arroganza non è stato studiato da cattivi ragazzi, ma da giocatori che non sopportavano più un certo clima: com’è stato possibile non accorgersi di quegli umori e intervenire prima?

A Napoli vi sono stati giocatori che hanno attaccato l’allenatore (Bianchi nell’88, salvo poi chiedere scusa alla società) o il club perché sostenevano il tecnico (Ranieri nel ‘92, salvo poi mettersi sotto l’ala protettrice del suo successore Bianchi). Tuttavia un caos simile non si era mai visto e ne sono tutti responsabili. C’è effettivamente un danno di immagine, soprattutto per i tifosi napoletani, che non avrebbero meritato di assistere a una simile sceneggiata nel bel mezzo di un’annata ancora tutta da scrivere, con lo scudetto lontanissimo e il quarto posto da conquistare, come la qualificazione agli ottavi di Champions. Vedremo oggi quale sarà la reazione degli abbonati, invitati ad assistere all’allenamento di una squadra finora campione solo di autolesionismo. Ancelotti non è stato in grado - finora - di accendere la piazza e una vicenda come quella esplosa l’altra sera al San Paolo lascia una ferita profonda. Ne escono tutti macchiati e indeboliti. Possono bastare le vittorie per far diventare un brutto ricordo questa imbarazzante situazione? Oppure, più in là (all’apertura del mercato invernale), servirà una forte sterzata per ripulire lo spogliatoio e provare a ricreare un’armonia? Le parole forti di De Laurentiis su due titolarissimi - Callejon e Mertens, prossimi allo svincolo e nel mirino di club cinesi - erano il segnale di un’insofferenza verso qualsiasi forma di pressione per i loro rinnovi: Ancelotti si era pubblicamente esposto in quel senso. Il presidente - e il comunicato di ieri formalmente lo ribadisce - ha fiducia nell’allenatore: lo considera il capo dell’area tecnica, lo ha consultato sul mercato e ha deciso di cambiare lo storico medico perché non era in sintonia con lo staff di Carlo.

Non vi è stato il finale a tarallucci e vino, con abbracci e strette di mano. La minaccia di azioni legali c’è, salvo ripensamenti a fine stagione in base al piazzamento della squadra. Purtroppo sembra già venuto meno il progetto di Ancelotti e non solo per quanto è accaduto dopo la partita col Salisburgo. È allarmante il dato tecnico perché il Napoli gioca a sprazzi, segno anche di una carente condizione fisica; commette troppi errori in difesa e in attacco; raramente si giova del turnover del tecnico. Non si poteva immaginare che il passaggio da Sarri ad Ancelotti durasse così a lungo e fosse così sofferto. Se un po’ di quella furia vista negli spogliatoi di Fuorigrotta i giocatori fossero riusciti a metterla in campo adesso il Napoli si troverebbe al vertice della classifica e magari con il pass per gli ottavi di Champions in tasca.


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