Napoli immobile e il ritorno alla normalità senza regole

di Adolfo Scotto di Luzio
Sabato 6 Giugno 2020, 23:00 - Ultimo agg. 7 Giugno, 08:00
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Una settimana fa, De Luca ordinava e De Magistris disfaceva. Non sono passati sette giorni e siamo punto e a capo. Quello che non andava bene, se era De Magistris a volerlo, si può fare a patto che sia De Luca ad ordinarlo. I locali pubblici chiudono a mezzanotte, diceva venerdì scorso il Presidente della Regione Campania; no chiudono alle due, ribatteva sabato il Sindaco. Ora te la faccio vedere io, replicava De Luca. Figurati, faceva quell’altro con un’alzata di spalle. È intervenuto il Tar, ha dato ragione a De Luca. Il quale, allora, evidentemente soddisfatto, ha stabilito trionfante: i locali chiudono alle due. 

Bagatelle per uno shottino, verrebbe da dire. Il confronto a cornate di due maschi alfa a chi deve comandare si produce sullo sfondo di una città che, comunque vada, è abituata a fare quello che le pare. Il primo dato che colpisce di questa complessa transizione post contagio sta proprio qui. In tutte le città italiane, dal Nord al Sud, il diritto alla bevuta del fine settimana sembra rappresentare l’ultimo terreno del conflitto impegnato dai giovani contro i vecchi. Lo abbiamo visto spulciando le cronache di questi giorni. Napoli non fa eccezione, da questo punto di vista. Colpisce però a Napoli lo scarto, la sproporzione tra l’esibizione muscolare della politica e la sua impotenza di fatto. Entrambi i protagonisti del vaudeville partenopeo esibiscono uno stile autoritario, volitivo, virile. Diverso nei modi di rappresentarsi, ma sostanzialmente identico nell’assunto di fondo: qui comando io. Più patriarcale De Luca, come si conviene alla maggiore età del Presidente, alla sua origine provinciale, da vecchio signore di campagna, che governa come conduce la famiglia, con i modi appunto di un patriarca vecchio stampo. Giovane e guappo, il sindaco. Abituato a spararle grosse, sempre consapevole degli sguardi degli altri.

Con gli anni i capelli corvini hanno perso colore e gli occhi scuri vivacità, ma l’idea è quella: affidarsi ad una certa aria spavalda da ragazzo meridionale. Ora se i codici della rappresentazione sono espliciti, bisogna dire anche che sono particolarmente inefficaci. A dispetto del piglio decisionista di entrambi, le loro ordinanze in materia di movida sono più la ratifica di una situazione di fatto che l’espressione di una capacità di governare gli spiriti indisciplinati della città. È vero che De Luca viene dai successi della cosiddetta fase uno quando, di fronte alla debacle del suo collega lombardo, ha potuto esibire, complice una situazione molto meno drammatica, una monumentale saldezza sotto i colpi della tempesta virale, ma è altrettanto vero che a dargli man forte era la grande paura dell’epidemia. Le persone sono rimaste chiuse in casa perché giustamente preoccupate dai rischi del contagio. Per dirla con un’immagine, De Luca ha spinto una macchina in panne lungo una strada leggermente in discesa. Ora che l’abbrivio si sta esaurendo, comincia ad avvertirsi l’azione di controspinte legate ad un quotidiano urbano di segno del tutto diverso. Napoli torna a vivere la sua abituale condizione di una normalità senza norme o meglio dove le norme sono quelle di una città dove a prevalere sono sempre i più forti, i più arroganti, i più prepotenti.

Appare innanzitutto evidente l’incapacità di Sindaco e Presidente di resistere alla pressione degli interessi commerciali in gioco. Da tempo la città, le sue piazze, i suoi luoghi più rappresentativi, sono stati di fatto abbandonati a gestori ed esercenti di bar e baretti, pizzerie, ristoranti, rivenditori di prodotti tipici, locali dove la gente, spesso giovanissimi, si assiepa per consumare alcolici venduti a poco prezzo, in barba a qualsiasi controllo. Ora con la scusa dell’emergenza economica non ci saranno più freni. Abbiamo visto lo scempio dei tavolini davanti all’ingresso di Santa Chiara. Nel nome della ripresa non ci saranno più santuari da preservare. La città, già da tempo ridotta a sfondo tipico dei consumi alcolici del fine settimana, verrà definitivamente sacrificata agli interessi di bottegai della più varia estrazione e tipologia. Tutto questo avviene senza nessuna vera contropartita e senza che le istituzioni locali, il Comune, il comando dei vigili urbani, il Questore, siano in grado di far valere la minima regola. Dal rispetto della quiete pubblica al divieto di vendere alcolici ai minori. All’obbligo di ripulire il suolo pubblico così generosamente dato in concessione. Nessuna delle autorità che ho sopra citato ha la forza, o forse più semplicemente la voglia, di esigere il rispetto delle regole. Basta farsi un giro per le strade del giorno dopo per vedere il prezzo di questo cedimento, di questa assurda idea di commercializzare non più il prodotto in vendita ma il tessuto stesso del centro storico, la trama dei palazzi e delle strade, gli sfondi paesaggistici inquadrati dalla curva delle strade disegnate con molta sapienza in epoche ben diverse da questa. Basta guardare il degrado, i cumuli di rifiuti che si accumulano per le strade per avere la misura esatta di che cosa significhi l’assenza effettiva di un principio efficace di governo urbano. Le regole sono un modo di occupare lo spazio. L’incapacità di farle rispettare rappresenta un’autorizzazione di fatto concessa ad altri modi di stare in città. È un principio molto semplice di fisica sociale.

Ecco allora il senso di quello scarto di cui prima si diceva. Più roboanti sono i proclami e le ordinanze della politica e più sonora risuona la pernacchia con la quale vengono puntualmente accolti. Questa incredibile debolezza di istituzioni pubbliche nelle mani di uomini che come il celebre Tarzan di Alberto Sordi passano il tempo a rimirarsi allo specchio esclamando estasiati “ammazza, aho!”, ha un unico desolante effetto. Farci capire che non è andato tutto bene come si sperava. Che la nuova fase è esattamente come prima, uguale a prima, peggio di prima. 
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