Napoli, l’incuria e gli spazi abbandonati da recuperare

di Cesare De Seta
Giovedì 4 Giugno 2020, 23:16
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In questi tempi così difficili gli spazi ospedalieri sono un bene prezioso per tanti ammalati colpiti del coronavirus: abbiamo visto in Cina costruita una città ospedaliera in meno di due settimane. In una democrazia non modello di efficienza come l’Italia si va a rilento. Il Pio Albergo Trivulzio fu fondato nel 1771 dal Principe Antonio Tolomeo che destinò i propri averi e possedimenti alla creazione di un ospizio per poveri vecchi con sede nel palazzo di Milano. 

Oggi questa pia istituzione è al centro di vicende spaventose che investono i malati trattati con cure da eugenetica nazista. Si stanno costruendo ovunque spazi ospedalieri che ci si augura siano presto disponibili. Una risposta d’emergenza, ma dicono illustri scienziati la pandemia non è destinata ad essere l’unica. Bisogna pensare al futuro e il nostro paese è ricco di edifici monumentali, caserme, spazi demaniali non utilizzati e molto spesso del tutto abbandonati. Una risorsa per il futuro che bisognerà attrezzare al fine di rispondere a esigenze sanitarie. Prevenire è assai più saggio che rincorrere sventure. Dal passato remoto ci vengono ammonimenti a cui conviene tornare. 
L’Albergo dei Poveri a Napoli è una delle testimonianze più alte del dispotismo illuminato di Carlo di Borbone: questi nel 1751 – vent’anni prima del Principe Trivulzio - chiamò nella capitale Ferdinando Fuga, che a Roma aveva già costruito la “manica lunga” al Quirinale e il Palazzo della Consulta.

L’area dove l’ospizio fu costruito il Reclusorio è lungo via Foria, che in quegli anni assume la funzione di ingresso d’onore della città. Al visitatore che giungeva a Napoli da via del Campo, si profilava la fuga prospettica della facciata maggiore del Reclusorio. La mappa del Duca di Noja (1775) la raffigura nello sviluppo previsto dal progetto originario, con il fronte più lungo di seicento metri a sei corti. Fu ridotto dallo stesso Fuga a trecento metri per trentasette di profondità a tre corti quale oggi ci appare. Il Reclusorio era destinato ad accogliere ottomila poveri e diseredati del regno: gli ospiti erano separati per sesso ed età, tale separazione imponeva alle diverse classi di ospiti di non incontrarsi mai all’interno dei molti ambienti. In modo così da controllare la vita quotidiana delle masse di indigenti, indirizzando ciascuna di esse alle diverse attività formative o lavorative che si svolgevano secondo gli indirizzi decisi dai governatori e dai Ministri della “Pia Istituzione”. 

Fuga adottò un sistema compositivo modulare e innovativo e collocò nella corte centrale dell’edificio una grande chiesa a pianta centrale con quattro navate a croce di Sant’Andrea che fu solo avviata. Il cantiere rimase aperto per molti lustri, senza che questa immensa fabbrica fosse compiuta. 

Alla morte di Fuga nel 1781 era completo il corpo e la facciata su piazza Carlo III a due piani con al centro l’imponente scala d’entrata che dà ai tre grandi archi d’accesso e in cima un frontone. Il volume parallelo che guarda la collina di Miradois non fu concluso: questo corpo smozzicato e incompiuto lo scorge chiunque giunge a Napoli dall’autostrada del Sole o dall’aeroporto di Capodichino. 

L’Albergo dei Poveri si configura come una cittadella destinata ai diseredati di un regno in cui il pauperismo e le infezioni erano una endemica piaga. Un Panopticon a sviluppo orizzontale che sarebbe piaciuto a Michel Foucault che, posso testimoniarlo, mai l’aveva visto. Ma il Panopticon di Geremy Bentham (1791) era un carcere, non così il Reclusorio. 

Da molti decenni l’Albergo dei Poveri è una rovina che suona vergogna alla classe dirigente della città - è infatti proprietà del Comune dal 1980 - e alla gestione dei beni culturali del Paese. È inutile dire quali e quanti siano stati i lavori di rabbercio statici e conservativi, le ipotesi di destinazione strampalate che si sono succedute nel tempo. Sta di fatto che la condizione di degrado del Reclusorio è estremamente critica e rischiosa per la sopravvivenza del monumento stesso. 

L’Albergo dei Poveri malgrado tutto conserva intatta la sua enigmatica identità architettonica, la complessità tipologica dei suoi diversi ambiti spaziali e quella distributiva ne fanno uno dei monumenti più geniali del Settecento europeo: un’architettura unica nel secolo dei Lumi. 

Il restauro dell’Albergo dei Poveri e di qualsivoglia monumento non può condursi pezzo per pezzo, ma deve essere chiara la visione dell’insieme e la destinazione d’uso che avrà. Una così immensa fabbrica potrà e dovrà avere un uso polifunzionale. La conoscenza del manufatto analitica di cui disponiamo - grazie alle indagini preziose di Paolo Giordano non certo del Mibac – ci consentono di dire che qualunque ipotesi d’uso dell’Albergo dei Poveri deve - in primis - misurarsi con la qualità architettonica del manufatto e con la sua stratificata storia.

La destinazione d’uso che avanzai fu quella di individuare un mallo, a cui aggregare molteplici attività congrue: questo nocciolo può essere la Biblioteca Nazionale di Napoli, oggi a Palazzo Reale in spazi del tutto inadeguati alla crescita di oltre due milioni di volumi e alle funzioni di una moderna biblioteca. A sostegno di questa ipotesi c’è il vantaggio di liberare larghi spazi in Palazzo Reale e ricondurli alla sua naturale destinazione museale. Per altro, secondo le intenzioni del ministro Dario Franceschini, Palazzo Reale è destinato a Polo Museale e non vi vede come possa divenirlo con il largo spazio occupato dalla Biblioteca Nazionale, oggi assai mal ridotta e priva di spazi e servizi essenziali a una moderna biblioteca. Gli spazi dell’Albergo dei Poveri sono per la loro modularità e senza che si debba intaccare o lederne i caratteri tipologici di Fuga sono del tutto idonei a ospitare quanto necessario a una grande biblioteca potenziata e aperta al Mediterraneo. Questo il nocciolo. Nei vastissimi spazi del Reclusorio potrebbero essere ospitate attività indispensabili a una grande biblioteca: istituzioni di formazione pubbliche e private, scuole e laboratori per il restauro di opere d’arte e di libri, gallerie d’arte, cinema, teatri, sale da concerto, attività artigiane a cui potrebbero concorrere istituzioni pubbliche e private. Ma è insensato procedere con rabberci più che restauri che per altro languono da decenni. Sull’ipotesi di trasferimento della Biblioteca Nazionale nell’Albergo dei Poveri espresse il suo consenso il direttore Francesco Mercurio, da poco in pensione. Sta di fatto che il Comune tace da decenni e la questione investe il ministro dei Beni culturali Franceschini per diretta competenza. L’Albergo dei Poveri non è un relitto da rottamare come sta accadendo: è una delle fabbriche più insigni e possenti dell’Europa dei Lumi oggi ridotta a rovina piranesiana. 

Ritornando da dove sono partito il mio è solo un esempio di come un edificio possa tornare a nuova vita: ma quanti sono gli edifici abbandonati che possono essere destinati a funzioni ospedaliere? In Italia si contano a centinaia.
Sarebbe prezioso un inventario e valutare quali di essi possono essere destinati a tale funzione. Credo siano molte decine distribuiti nella penisola e nelle isole. Nella politica di prevenzione sanitaria una tale strategia sarebbe saggia, equivarrebbe a consentirci di guardare al futuro senza l’affanno e l’inadeguatezza con il quale il Paese ha affrontato l’emergenza del coronavirus. 
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