Se i violenti coprono la voce dei disperati

di Piero Sorrentino
Lunedì 26 Ottobre 2020, 00:00
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Nel saggio «Il secondo aereo» lo scrittore inglese Martin Amis, parlando degli attentati americani dell’11 settembre, sostiene che il mondo, in fondo, aveva trascurato il primo schianto contro le Torri Gemelle. Certo, era un evento fortemente traumatico, ma tutto sommato normale. Un incidente. Terribile, ma pur sempre un incidente. È stato il secondo volo, è stato «quello il momento determinante. Fino ad allora l’America era stata convinta di assistere a un fatto non più grave del peggior disastro aereo della storia; ora cominciava a farsi un’idea dell’inverosimile violenza schierata contro di lei».

Con la manifestazione di venerdì notte, sfociata in scontri, assalti e devastazioni nella zona di Santa Lucia, è accaduto qualcosa di molto simile. È stato il secondo troncone – quello che ha incendiato cassonetti, tirato pietre e bottiglie, esploso bombe carta, distrutto e aggredito, quello che ha vigliaccamente circondato e tentato di pestare agenti rimasti staccati dal gruppo – che ha catturato lo sguardo, prodotto migliaia di post sui social network, imbottito le pagine dei giornali di analisi sul chi, sul cosa, sul come. È stato il plebeismo delinquenziale o il solito lazzaronismo meridionale? C’entra la longa manus camorrista o si è trattato della saldatura tra frange di ultras, criminalità comune e pezzi sparsi di fascisti? E gli antagonisti? E i centri sociali? È sembrato di assistere a una gigantesca partita di “Cluedo” o di “Indovina Chi?”, dove i giocatori sono chiamati a gareggiare sul terreno dell’agnizione e dell’individuazione del colpevole a partire da una manciata di indizi sparsi. Ma questo gigantesco sforzo di intelligence collettiva, questa infaticabile attività da 007 ha – del tutto e intollerabilmente – dimenticato che, venerdì sera, c’è stata una prima manifestazione, un primo movimento di corpi, persone, biografie ed esperienze. Dove sono i racconti di quella? Dove sono le letture, le interpretazioni di quelle istanze? Il gioco del “chi c’era a lanciare pietre?” ha del tutto travolto una domanda magari meno affascinante, ma decisamente più importante: “Chi c’era a non lanciarle?”.

Quel raduno di chi non ha spaccato non è semplicemente esistito. Non è mai avvenuto. Quel corteo di chi ha paura di tutto quello che sta accadendo non c’è mai stato. Quelle lavoratrici e lavoratori che, all’idea di un nuovo blocco totale, temono di trasformarsi in fantasmi, fantasmi lo sono diventati proprio nel momento in cui hanno aperto la bocca per parlare. Il messaggio che è stato consegnato loro è soltanto uno: “Criticate, criticate, tanto niente resterà”. Del vostro stato d’animo di paura e di angoscia, diffuso tra le vostre famiglie soccombenti, ci importa tutto sommato poco.

Delle vostre frustrazioni non sappiamo bene che farcene. E di tutto questo sapiente protocollo di cancellazione è la sordità delle istituzioni e dei poteri la cosa più impressionante. Nel panorama dell’attuale dirigenza politica manca, infatti, qualsiasi istanza, qualsiasi organismo deputato a ragionare, prevedere e magari programmare qualcosa su tempi medi e lunghi che non siano quelli del giorno per giorno, l’unica scadenza temporale che la classe politica e dirigente, alle con scadenze elettorali più o meno continue e ravvicinate, può tenere a mente.

La prima manifestazione, quella degli invisibili e degli inascoltati, non è stata cancellata solo dal fragore delle esplosioni e occultata dal fumo dei lacrimogeni. E non è stata travolta dalla pandemia. Un virus è un fatto naturale, c’è sempre stato e sempre ci sarà. La politica è invece una costruzione culturale, un fatto di uomini per altri uomini. A un virus non puoi dire nulla, visto che fa il suo dovere di virus. È la politica che ha il pallino in mano, è alla politica – a chi ha il potere di scegliere e decidere – che tocca farlo bene e in fretta. Troppo facile, insomma, è stato indirizzare tutti gli sforzi analitici sulle dinamiche del sottoproletariato urbano – camorrista, fascista, criminale, fanatico ultras – dimenticando completamente che, a sentire sul collo il fiato dell’immobilità decisionale della politica, sono ristoratori, commercianti, camerieri, lavoratori del settore turistico e del suo indotto, titolari di centri sportivi e palestre. Persone che stavano nel primo corteo, non nel secondo. Persone sulle cui spalle non è stata la pandemia ad abbattersi, ma l’intollerabile inazione, o malazione, pubblica. Persone che guardano al futuro come una minaccia e non come un’occasione.

Lo ha assai ben detto Adolfo Scotto di Luzio, giusto ieri su queste colonne: « In una città in cui una parte consistente della popolazione - quella più povera e che dunque paga il prezzo più alto all’inasprimento delle condizioni di agibilità dello spazio pubblico - vive in condizioni semi e sub legali, in una città del genere, dico, non ci si può aspettare realisticamente che il conflitto assuma forme compatibili con un ordinato svolgimento della vita democratica». A completare il mosaico degli assenti, a quella parte più povera va aggiunta la parte che prima non lo era, e che ora si va impoverendo. Se non si comincia a dare credito e risposte alle loro istanze, i problemi che ci troveremo a dover gestire qui in città saranno, nei prossimi mesi, molto più preoccupanti di quelli che, con angoscia e scoramento, ci hanno investito lo scorso venerdì notte.

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