Il modello Quartieri per superare il degrado

di Antonio Menna
Giovedì 22 Luglio 2021, 23:30 - Ultimo agg. 23 Luglio, 06:00
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Ricordo ancora l’emozione quando, un pomeriggio, in una piccola enoteca di Sant’Anna di Palazzo, a pochi passi da dove vivevo, nei Quartieri Spagnoli, il proprietario mi disse che quella cantinola dove teneva i vini in esposizione, e dove ogni tanto entravo per sceglierne uno, era stata la redazione del Monitore napoletano di Eleonora Pimentel Fonseca. Per la precisione, quell’enoteca era la vecchia osteria dei giacobini. Lì si riunivano sul finire nel 1799, i rivoluzionari napoletani per organizzare la Repubblica partenopea. Da quel momento mi sembrò che le pietre di tufo di quel negozio parlassero. Sentivo in quel cellaio umido l’evocazione della storia. Poi trovai, lungo tutti i Quartieri, le tracce di donna Lenor, raccontata nel romanzo di Striano, “Il resto di niente”, e in una sorta di perimetro magico, la sua casa, il balcone della sua giovinezza, la chiesa dove era sepolto il bambino che perse, i luoghi che frequentava. Mi impressionò accorgermi che ogni passo che facevo su quelle strade sconnesse, in quei vicoli malmessi, tra quei palazzi cadenti, in quella selva di motorini, auto, disordine, aveva un odore antico di storia che bisognava solo concentrarsi bene per continuare a sentire. Perché i Quartieri Spagnoli di Napoli questo sono: un motore generativo di storie, una potenza evocativa di personaggi, fatti, suggestioni. 

Non è con sorpresa, quindi, che oggi si legge di un modello Quartieri Spagnoli per andare oltre il degrado. Il lavoro della fondazione Foqus, di Rachele Furfaro, che ha firmato un accordo, alla presenza della ministra Carfagna, con l’ambasciata del Regno Unito in Italia per sviluppare insieme pratiche innovative per l’inclusione sociale e lo sviluppo partendo dalla cultura, è la conferma che la ricchezza di questo straordinario reticolo di vicoli è sotto i nostri piedi.

È nelle mura, tra le pietre, proprio come quell’anonima enoteca che imprigionava le voci del passato per dire qualcosa al presente e al futuro. La potenza della storia e delle storie, la forza della conoscenza sono una benzina ecologica per la mente e possono sviluppare una forza di rigenerazione dei luoghi che può diventare un grande attrattore ma anche una formidabile medicina per curare il degrado e l’abbandono. 

Da dove si comincia una cura se non dalla conoscenza? L’intuizione di Foqus, che ieri ha presentato anche un sistema innovativo di segnaletica geolocalizzata, è in fondo un mettere le mani nelle radici.

Il rilancio di una sfida più che una nuova idea. La conferma che le potenzialità nei luoghi e nelle persone ci sono tutte, che il corpo è sano, che le facoltà sono intatte. Ma è anche, però, la dimostrazione che siamo costretti di nuovo a partire. Una nuova partenza. Una nuova eterna partenza. Quante volte abbiamo già sentito dire che dai Quartieri Spagnoli – come dalla Sanità, per altro verso – si lancia la sfida per coniugare cultura, inclusione e sviluppo? Infinite. Fin dagli anni Novanta, quando si parlava della Montmartre napoletana, slogan rilanciato poi dal sindaco De Magistris, con risultati che sono sotto gli occhi di tutti, culliamo il sogno della cultura come volano di rinascita. Ma è un fermarsi ogni volta al primo miglio. 

Tanto, in questi anni, si è lavorato dal basso nei Quartieri: la street art, i primi murales, i concerti, teatro, cinema, il lavoro sociale delle associazioni, l’opera della stessa Foqus come di altri volontari del sociale, un rudimentale abbellimento dei vicoli più prossimi a Via Toledo, l’iniziativa economica di tante trattorie, locali, case per turisti, bed and breakfast, poi bastonati dalla pandemia, ma ancora lì, pronti a ripartire. Perfino la “bonifica” di fatto di vico Lungo Gelso, un tempo strada della prostituzione, oggi vicolo di una movida gentile di trattorie e locali, è nata dentro la spinta delle persone. Che cos’è mancato? Un progetto istituzionale ampio che mettesse a sistema tutte queste energie e queste potenzialità. L’autodeterminazione è importante se poi trova una direzione unica, una strategia d’insieme, un disegno. Altrimenti rischia di perdersi nell’aria. 

Allora è il momento per i Quartieri Spagnoli di un progetto istituzionalizzato e complessivo: una vera rigenerazione urbana, una rilettura urbanistica, una rete dell’arte e della cultura, una valorizzazione seria del patrimonio pubblico e privato. Ci sono le elezioni comunali, la campagna elettorale è in corso. Qualcuno lavori a un grande progetto delle istituzioni per questo luogo straordinario, dalla forza smisurata, come i Quartieri Spagnoli, perché le associazioni, le fondazioni, gli esercenti, i cittadini possono fare tanto, e lo hanno fatto, ma non basta. Per il salto di qualità, ci vuole qualcosa in più. Ci vuole lo Stato, che qui da troppi anni mette piede due minuti e poi vola via quasi spaventato. 

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