Napoli, movida insanguinata: «L’ho pugnalato 19 volte, ora vorrei abbracciarlo»

Napoli, movida insanguinata: «L’ho pugnalato 19 volte, ora vorrei abbracciarlo»
di Leandro Del Gaudio
Lunedì 25 Ottobre 2021, 23:36 - Ultimo agg. 26 Ottobre, 19:39
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Dice che ci pensa ogni notte, da almeno un mese. Che si sente miracolato, perché alla fine la vittima è sopravvissuta ai colpi, ai tagli, ai fendenti. Lo ha colpito 19 volte, ma non è morto: «Ed è stata una grazia, per me e per lui. Non è morto, tanto basta, anche se la notte ripenso sempre a quelle coltellate: 19 coltellate, la mia fortuna è che non l’ho ucciso. Da allora penso che un giorno mi farebbe piacere abbracciarlo, chiedergli scusa e fare qualcosa di buono per lui e per me».

Eccolo Kevin, 15 anni: studi all’alberghiero, la passione per il rugby, imputato per tentato omicidio. Un episodio che risale allo scorso settembre, avvenuto in via Santa Maria della Fede, non lontano dai vicoletti del centro storico, in un sabato notte di fine estate. Un episodio rubricato alla voce “movida insanguinata”, che ha rappresentato lo spartiacque nella vita di due minori: l’aggressore, il quindicenne Kevin e la sua vittima, poco più grande di lui. Inchiesta condotta dal pm De Luca, in campo la Procura dei minori guidata dalla procuratrice De Luzenberger, si lavora su materia fragile, delicata, di fronte alla necessità di operare una sintesi: da un lato la necessità di individuare la responsabilità del minore, per quelle 19 coltellate; dall’altro, il dovere di assicurare una possibilità di riabilitazione a chi - a soli 15 anni - si trova a competere con un processo per tentato omicidio e una vita segnata da un episodio tanto grave.

Difeso dai penalisti Mario e Mariangela Covelli, Kevin è pronto ad affrontare il processo e a raccontare la sua storia. 

Una vicenda molto simile a quella di decine di altri ragazzini che da Vomero a Chiaia, da Bagnoli a Ponticelli, animano le notti napoletane di sangue e paura, rabbia e frustrazione in quel rito chiamato movida. Sabato notte un ragazzino di 14 anni preso a sprangate, un 16enne ferito da una coltellata. Vicende simili a quelle di Kevin, che in questa storia sembra avere le idee chiare sul suo futuro. Ha ammesso ogni responsabilità fin dal primo momento, non si è sottratto di fronte alle accuse, né ha provato a cercare attenuanti. Ha provato a spiegare dal suo punto di vista le origini di quella «tarantella» sfociata nel sangue. Antipatie e dissapori covati nel tempo, fino a un’esplosione di rabbia, probabilmente animata da gelosia. Una ex contesa? Un flirt finito male e riacceso all’improvviso? È una delle circostanze destinate a finire al centro del processo sull’aggressione dello scorso settembre, che ruota sempre e comunque su un punto in particolare: il possesso dell’arma. Già, l’arma. Perché era armato all’una di notte? Perché era uscito di casa, in una notte afosa e caotica, con un coltello buono per uccidere? È uno degli argomenti su cui c’è stata maggiore incertezza da parte del ragazzino, il probabile punto debole della sua posizione. Ha ammesso le proprie responsabilità, ma ha negato di essere uscito di casa armato. E come sarebbe spuntato quel coltello? Ha provato a mettere a fuoco quella notte, sfumando i contorni degli attimi fatali, quelli in cui si è trovato ad impugnare quel coltello. Possibile? «Me lo hanno dato i compagni...», versione simile a quella di tanti altri ragazzini che si sono trovati ad indossare le vesti di assassini, vendicatori o di esecutori materiali di delitti orrendi. Corso Garibaldi, via dei Carrozzieri, largo San Giovanni Maggiore a Pignatelli, via Alabardieri, via Falcone e così via. Sono i punti dove di recente si sono verificati raid, risse e regolamenti di conti tra bande di minori. Puntualmente immortalati dalle telecamere di videosorveglianza, spicca la giovanissima età dei duellanti. Minori, a dispetto quasi della barba che incornicia visi da ragazzini, un telefonino cellulare a sinistra e un’arma a destra. Le lame e i movimenti a scatto. Come quelli di via Alabardieri appena qualche giorno fa, quando due babygang si sono affrontate fino a tarda notte, bloccando un’auto, chiudendo i varchi, spaventando giovani coppie che passeggiavano tranquille, andando per locali nel cuore della parte chic del by night cittadino. Vicende simili a tante altre risse che hanno avuto un epilogo meno drammatico.

 

Restiamo a sabato notte, siamo in una corsia del Pellegrini, ospedale di frontiera per usare una espressione rituale, finanche banale. In pochi minuti arrivano i due minorenni, hanno storie simili, feriti non in modo gravissimo, ma decisamente sotto choc: un fianco lacerato da un colpo di coltello per il 16enne; il più piccolo ha un trauma cranico, dopo aver rimediato dei colpi di spranga alla testa, ma se la caverà. È anche per loro che Kevin decide di rompere il silenzio e di raccontare la sua storia. Non una difesa d’ufficio, né un tentativi di accattivarsi la benevolenza di qualcuno, ma la storia di un ragazzino come tanti, travolto dalla frustrazione di tanti giovani in totale assenza di controllo per le strade di Napoli: «Buttate i coltelli, io l’ho usato, ho sferrato 19 coltellate, sogno ogni notte lo sguardo del mio coeataneo, che oggi vorrei abbracciare». 

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