Il Centro direzionale ​salvato dalla movida

di Piero Sorrentino
Lunedì 21 Giugno 2021, 00:00 - Ultimo agg. 07:20
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Le piazze, le strade, i palazzi, l’acqua del mare brillante sotto il sole: le interviste realizzate da questo giornale a picco sulla città scrutata dalla sommità della Torre Francesco del Centro direzionale accompagnano i candidati sindaci in una passeggiata ideale che rende Napoli non l’interlocutrice muta dei soliti discorsi elettorali, dei «faremo» e dei «progetteremo» buoni solo per spargere un po’ di ulteriore fumo negli occhi di un elettorato stanco e disilluso. 

Quei 124 metri trasformano la città in un museo animato, in una specie di lanterna magica che proietta sotto gli occhi degli aspiranti alla poltrona di primo cittadino le sue indiscusse bellezze e i suoi oggettivi problemi, dando contemporaneamente grande responsabilità al gesto più delicato che tocca a chiunque andrà a governare la cosa pubblica napoletana nei prossimi cinque anni: indicare, puntare l’indice su questa o quella zona, su questo o quello spazio, che sia il centro storico, l’area portuale, le periferie, le grandi aree della città metropolitana, e dirne non solo le criticità, i nodi irrisolti, le fratture mai sanate, ma soprattutto elencarne le possibili soluzioni, le proposte concrete, le idee per il loro miglioramento. 

Ed è piuttosto interessante, da questo punto di vista, che uno dei temi – quello della cosiddetta movida – toccato dai candidati durante le conversazioni con «Il Mattino» trovi proprio nel Centro direzionale uno dei luoghi dove canalizzare il tempo libero e la socializzazione dei giovani al fine di alleggerire l’enorme pressione di quelle masse di ragazzi che, soprattutto al centro storico, rende disagevole la vita dei residenti e, a volte, mette seriamente in affanno la gestione dell’ordine pubblico. 

Tema estremamente caldo, come si dice, soprattutto adesso che l’estate comincia a entrare nel vivo, assieme al passaggio da oggi della Campania in zona bianca e alla cancellazione del limite orario per il rientro a casa. E, soprattutto, tema che può fornire una sterzata al discorso che, da troppo tempo, proprio sul destino del Centro direzionale continua colpevolmente a languire nel dibattito sulle cose cittadine. Il Centro è uno dei grandi assenti, il Convitato di pietra che siede silenzioso e immobile al tavolo delle discussioni su Napoli, lo spazio morto che una volta era gravido di promesse, l’araba fenice azzoppata che muore di notte e rinasce al mattino senza lo splendore e la magnificenza che l’uccello di fuoco della mitologia porta con sé, in una lenta morte che non è seguita mai dai una vera e propria resurrezione. 

E proprio oggi che i «non luoghi» delle grandi città sono pensati da schiere di urbanisti e sociologi come il luogo dell’anonimato assoluto, come zone da separare, recintare, escludere dal resto del tessuto urbano delle città, il Centro direzionale ha l’occasione di poter tornare a rivivere non solo nella sua dimensione diurna di luogo di uffici e fredde costruzioni di vetro e ferro, ma anche in quella notturna di zona per il relax e il divertimento, perdendo qualcosa della sua aura di luogo neutro e sciapo e guadagnando in calore e vitalità.

Ce ne sarebbero proventi da distribuire felicemente un po’ per tutti: per gli abitanti del centro cittadino – le piazze Bellini, san Domenico Maggiore, del Gesù, con via Aniello Falcone, Chiaia ecc. – ai quali si darebbe un po’ di respiro; per commercianti, gestori di bar e imprenditori, che negli spazi del Centro direzionale troverebbero luoghi nuovi per dare concretezza alle loro attività senza l’ormai intollerabile congestione che grava sui luoghi abituali della movida; per gli stessi giovani, ai quali sarebbe consentita una più ampia possibilità di tirar tardi, chiacchierare e ascoltare musica, vista la minor concentrazione e miglior distribuzione al Centro direzionale di condomìni residenziali e abitazioni private rispetto al centro città, che consentirebbe di salvare capra e cavoli, tutelando il sacrosanto diritto al riposo notturno dei cittadini e quello al divertimento di chi intende passare una serata fuori casa.

Ogni spazio urbano è costantemente figlio della dialettica tra domestico e pubblico, e ogni parte di una città è figlia della relazione continua con tutto quello che le sta intorno. È stata, del resto, la saggista e critica d’arte americana Rebecca Solnit a ricordarci in un suo bellissimo libro, «Storia del camminare», che democrazia è anche la possibilità di circolare fisicamente in una città, non come veicoli ma come corpi, tra altri individui come noi, conosciuti e sconosciuti. La città deve sempre essere un luogo dove incontrarsi è un evento sempre possibile e dove le persone – che siano stanziali o di passaggio, residenti o turisti – si incrociano senza paura ma anche senza scopo apparente. Questo richiede che siano sempre a disposizione luoghi di accoglienza normale e decorosa. Se il Centro direzionale può ambire a questa funzione, è giusto che chi si candidi al ruolo di sindaco ne tenga conto per tornare a dare corpo a un fantasma di 110 ettari al quale è finalmente venuto il momento di restituire carne e ossa.

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