Mascherine e movida, ​il rigore che serve

di Raffaele Aragona
Giovedì 1 Ottobre 2020, 00:00 - Ultimo agg. 07:00
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«Da visionario, penso che la fase più avanzata della democrazia sia l’anarchia, sogno comunità che si autogestiscano senza poteri, solo amore!». Anche se autodefinitosi “visionario”, non è certo un’affermazione che può fare un sindaco di una città come Napoli (ma anche di qualsiasi altra città). D’altro canto, molte sue inattività rispettano questo credo. Certamente grave è l’atteggiamento assunto nei confronti del fenomeno della movida.

Il vocabolo, persa ogni originaria connotazione social-politico- artistica, è degenerato in quello che oggi indica soltanto animazione, divertimento e vita fino a tarda notte. Un atteggiamento del tutto insensibile alle proteste dei cittadini esasperati dal nocivo e continuo frastuono, da tarda sera fino a notte inoltrata, timorosi di tutto quanto accade sotto le proprie abitazioni ostacolandone l’accesso in sicurezza e anche per il frequente verificarsi di episodi di violenza.

Riesce difficile comprendere e giustificare come situazioni estremamente gravi siano state finora sempre tollerate; anche in un periodo di distanziamento fisico e di obbligatorio uso delle mascherine. Gli abituali assembramenti nelle ore serali, in particolar modo nel fine settimana, sono stati sempre sotto gli occhi di tutti e avrebbero dovuto esserlo anche di quelli di chi ha cómpiti ben precisi. 

A livello regionale il Presidente De Luca, per l’aggravarsi della situazione connessa al Covid, è stato ora costretto a prescrivere l’uso della mascherina per l’intera giornata, operando anche una forte stretta con il divieto dell’alcol da asporto dopo le 22, minacciando la minaccia di chiudere tutto in caso di inosservanza delle norme: un ultimo avviso, dice De Luca, altrimenti si ritorna di nuovo al confinamento.

Una stretta dovuta, visto l’aggravarsi della situazione ed è paradossale il fatto che i napoletani, distintisi a suo tempo per il rigore del proprio comportamento, in presenza di dati di contagio molto modesti, quando una maggiore attenzione sarebbe stata d’obbligo, si è data l’impressione di un clima di rilassatezza caratterizzato da frequenti assembramenti e da un uso limitato delle mascherine, in una situazione nella quale, invece, sarebbe stato necessario un comportamento ancóra più virtuoso. Dimenticare i comportamenti di marzo scorso ha significato scherzare col fuoco, cioè con il virus. Il provvedimento (dovuto) di De Luca non lascia spazio a nessuna anarchia, ma c’è ancóra da osservare qualcosa: non è possibile a questo punto tollerare gli assembramenti da movida (e non solo) in nessun orario, né la presa in giro delle mascherine abbassate per permettere l’assunzione di bevande, alcoliche o meno, in pieno assembramento, neppure prima delle 22. Il virus, certamente, non sospende la sua pericolosità e non bada all’orologio e resta impensabile una sua tregua. In questa logica l’ordinanza non si limita alla questione movida, ma colpisce anche altri luoghi di aggregazione, persino le feste private, consentite soltanto nel rispetto del limite massimo di 20 partecipanti.

Peccato, sarebbe bastato che Prefetto, Questore e Sindaco fossero andati per tempo e a piedi, naturalmente, per rendersi conto di persona di cosa accadeva in uno dei tanti vicoletti ostruiti dalla folla intorno alla mezzanotte (e oltre) del lungo fine settimana, e non solo. 

Quello della somministrazione di alcool ai minori è poi ancóra un altro dei tanti problemi; negli ultimi tempi sono stati in verità intensificati i controlli, ma il problema primario resta quello alla base di tutto: l’affollamento eccessivo, con tutte le sue inevitabili conseguenze, in questo periodo ancóra più gravi. 

Con molta angoscia si è assistito a casi nient’affatto radi di accoltellamento e, di volta in volta, si è sperato che fatti del genere avrebbero scosso coloro che hanno il dovere e il cómpito di prevenirli, restati, invece, incuranti del sonno perduto dai malcapitati abitanti, del pericolo sempre incombente e del degrado che ha ormai caratterizzato le zone interessate dalla movida; tutto ciò insieme con il diminuito valore commerciale degli immobili e con la trasformazione continua di botteghe artigiane in locali e localetti (frutto di una mal valutata liberalizzazione), elementi attrattori di quello che qualcuno ha addirittura voluto definire “turismo”; chissà se il suo sogno resta ancóra quello di «comunità che si autogestiscano senza poteri, solo con l’amore».
 
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