Napoli, il museo di Capodimonte cattedrale nel deserto del degrado

Napoli, il museo di Capodimonte cattedrale nel deserto del degrado
di Gennaro Di Biase
Mercoledì 1 Dicembre 2021, 00:00 - Ultimo agg. 4 Dicembre, 17:04
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Raggiungere il Museo di Capodimonte è come camminare nel dipinto “La Parabola dei ciechi” di Bruegel, che cadono uno dietro l’altro dopo lo scivolone del capofila. Tempera su tela nel capolavoro del 1568, conservato al primo piano dell’ex residenza dei Borboni. Pneumatico sulla voragine nell’asfalto del 2021, sul mal conservato suolo pubblico partenopeo. Se, sotto la spinta del direttore Bellenger, l’interno di Capodimonte (134 ettari e 6 km di muro di cinta) si è trasformato in un parco urbano modello francese quasi da pelle d’oca, con auto elettriche, busti e statue, campi da calcio e rugby, alberi curati e figure geometriche di foglie, appena usciti dal bosco la pelle torna normale, troppo normale, e si riabitua presto al ben più familiare degrado che in certi casi, qui, raggiunge vette fantozziane: «Entrata autobus», è scritto a penna per turisti o autisti, e con grafia titubante, su un contenitore dell’immondizia rovesciato e circondato da immondizia all’ingresso di Capodimonte, dal lato di Porta Miano. È qui, tra un battistrada saltato e una fontana-posacenere, che staziona la navetta 3m, unico mezzo che trasporta i vacanzieri dal Mann al bosco. 

L’interno, sia lato museo sia lato vialoni (riaperti), è curato nei dettagli. Ditte di agronomi e auto elettriche controllano la flora e il parco ininterrottamente. A terra né cicche, né cartacce. Non è semplice pulizia, sono l’ordine e il decoro che, derisi nel resto della città, si sono esiliati tra Palazzo e Museo di Capodimonte. Dentro, insomma, regna l’eccezione. Fuori, purtroppo, regna la solita anarchia. L’effetto cattedrale nel deserto - o meglio, bosco nel deserto - finisce nel momento esatto in cui si mette piede all’esterno di una porta, Piccola, Grande o Miano che sia: discariche intorno ai contenitori dell’immondizia, discariche nei cespugli, scritte sulle mura di cinta, monumenti ai caduti abbandonati (stesso destino in cui i morti di guerra inciampano in tutta la città), un albero abbattuto lasciato a marcire sul marciapiede.

E poi l’inferno della circolazione: auto in doppia fila, auto sui marciapiedi, parcheggiatori abusivi. E tanti incidenti, dettati dalla congestione delle lamiere (l’ultimo dei quali, purtroppo mortale, l’altro ieri sera, proprio qui a Porta Piccola). Le tragedie infrastrutturali spuntano come funghi sul suolo pubblico. Transenne sulla strada del Tondo all’uscita della tangenziale e buche da star-gate sulla strada verso il bosco e intorno alle Catacombe di San Gennaro. Gli pneumatici, attraversandole, finiscono in altre galassie. La giovane Caroline Paganuzzi viene dagli Usa e collabora col Museo: «Stamattina sono venuta a piedi dal centro storico, a volte prendo i mezzi pubblici, 204 o c63 - sorride mentre ammira il dipinto - A volte anch’io, viste le buche, mi sento come nei Ciechi di Bruegel». Il problema di Capodimonte, in sintesi, è arrivarci sani e salvi. 

 

Napoli è un fiume di piccole odissee quotidiane. Come quella dell’anziana signora Imma Barba, che cammina con difficoltà verso l’affollato hub vaccinale di Capodimonte dal lato di Porta Miano: «Il bus non è passato - sospira con dolcezza - Abbiamo aspettato un’ora il pullman che non passava. Non è che c’è una navetta per il ritorno?». No, purtroppo. Stefano e Gianni, due amici ritrovati, hanno «riallacciato il legame grazie al campo da rugby nel bosco», non lontano dal Giardino Torre e dalla Masseria in cui nacque la pizza Margherita, che a breve riaprirà. Abullah, silenzioso quarantenne marocchino, abita invece nelle grotte dei giardini del Tondo. Ha steso ad asciugare le lenzuola all’interno del suo «appartamento» affacciato sulle sfingi che sorvegliano il Tondo. Tiene pulito e dà da mangiare a gatti e piccioni. C’è di tutto, a «casa sua», dalle macchinette per il caffè alla pianola: «Cerco lavoro in città, ma non è facile», sussurra. Non è l’unico migrante ad animare gli storici giardini all’esterno del Museo. I senzatetto, senz’altro meno invasivi che al Museo del Tesoro di San Gennaro o intorno al Mann, popolano anche qui giardini storici e antichi, nella Napoli che circonda i musei, dove il Carnevale è la norma, dove il rovesciamento delle regole si canonizza ogni giorno nello spazio e nel tempo. Dietro un cancello misteriosamente chiuso, sempre nei giardini del Tondo, sono sistemati secchi di vernice altrettanto misteriosi. È il mistero degli spazi storici lasciati a disposizione di chi, semplicemente, va a occuparli.

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