La scelta di far dialogare ​la bellezza e la memoria

di Vittorio Del Tufo
Giovedì 8 Giugno 2023, 00:00 - Ultimo agg. 06:00
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Parigi celebra Napoli: la sua storia, i suoi capolavori, la sua bellezza. Celebra, attraverso il linguaggio universale dell’arte, una città-mondo dove passato e presente dialogano di continuo. 

La città-sirena che incanta e seduce e che, da oltre 500 anni, ha con la Francia, e in particolare con Parigi, un sodalizio artistico ininterrotto, fondato sull’ammirazione reciproca. Un “fuoco comune” che arde da tempo, come ha scritto ieri sul Mattino il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. Così, nel giorno dell’inaugurazione della grande mostra “Naples à Paris” - da oggi fino a gennaio - vanno sottolineati innanzitutto i legami fortissimi che legano due grandi capitali della cultura, due città senza le quali, come ha osservato il direttore di Capodimonte Sylvain Bellenger, l’Europa, come la conosciamo oggi, semplicemente non esisterebbe.

Non è dunque solo l’incontro tra due tra le più importanti collezioni d’arte al mondo quello che si celebra a Parigi, ma l’abbraccio tra due culture, due città aperte al fascino della modernità, al richiamo del futuro, e nello stesso tempo spalancate sugli abissi del proprio tumultuoso passato. E cresciute, sedimentate, su quel passato. Ci troviamo di fronte a due istituzioni culturali - il Louvre e Capodimonte - che incrociano i rispettivi capolavori ma anche a due capitali che, attraverso quei capolavori, continuano a parlare al mondo con il linguaggio dell’arte.

Rinsaldare oggi, nel nome della bellezza, questi legami ha un significato che travalica l’evento in sé perché favorisce un dialogo che sul terreno politico appare spesso difficile: la diplomazia dell’arte supera le barriere e ridimensiona anche le schermaglie tra gli esponenti dei due governi che hanno tenuto banco negli ultimi mesi. Ma al di là dell’ottimo rapporto tra i presidenti, Mattarella e Macron, entrambi innamorati di Napoli, c’è un “comune sentire” che affonda le radici in secoli di storia. E tante similitudini: custodi delle collezioni ereditate da grandi sovrani, il Louvre e Capodimonte sono entrambi palazzi reali trasformati in musei. Carlo di Borbone, figlio di Elisabetta Farnese, il sovrano illuminato che cambiò il volto di Napoli, trasferì a Napoli le grandi collezioni d’arte di famiglia, capolavori oggi divisi tra il Museo di Capodimonte e il Museo Archeologico: le più straordinarie statue d’epoca greca e romana, i più prodigiosi dipinti della storia dell’arte. Caravaggio, Tiziano, Masaccio, Parmigianino, Raffaello, van der Broeck. Carlo intendeva così non solo offrire una collocazione adeguata al ricco patrimonio ereditato, che collocò nell’ala nobile della Reggia costruita nel 1738, ma anche affrancare Napoli dalla Spagna, e trasformare Capodimonte in una delle più importanti residenze reali al mondo.

Anche il Louvre, prima di diventare il Louvre, era una residenza reale. E prima ancora era una fortezza, un arcigno bastione al cui interno sorgeva un imponente “donjon”, che fungeva sia da guarnigione che da prigione per i nemici del regno.

Fu Carlo V, detto il Saggio, nel XIV secolo, a trasformare il vecchio e pauroso Louvre in un luogo da fiaba. I capolavori arrivarono nel Cinquecento, grazie a Francesco I, mecenate e cultore delle belle arti, che aveva attirato a corte i più bei nomi del Rinascimento europeo.

Il passato, a Napoli come a Parigi, è un lascito di memorie che rivivono attraverso il linguaggio sublime dell’arte. Sono tanti i legami che uniscono la civiltà francese a quella napoletana. Dalle architetture gotiche alla consanguineità tra gli illuministi napoletani e parigini, come ha sottolineato ieri su questo giornale Cesare De Seta. Qui si è stratificata l’Europa. Ma c’è dell’altro. Al pari di Napoli, Parigi è una delle città più fotografate, più visitate, più descritte e raccontate del mondo. Allo stesso tempo è, al pari di Napoli, una città più facile da riconoscere che da conoscere, soprattutto quando si cerca di andare oltre la cartolina, oltre i luoghi comuni. C’è una Parigi solare (la Senna, il Marais, Place des Vosges, la Tour Effeil, Les Invalides, o le scatole verdi dei bouquinistes stiracchiati al sole) ma poi c’è una Parigi nascosta, notturna, silenziosa. Buia. La conosciamo meno, schizza via al nostro sguardo, non si lascia afferrare. Proprio come Napoli, con le sue ombre e la sua patina “misterica, luminosa e insieme impenetrabile”, come scrisse lo scrittore ed etnologo (francese) Michel Leiris.
Specchi riflessi. O città “invisibili”, per dirla con Italo Calvino: che occultano, nascondono, più di quanto non rivelino. Paesaggi dell’anima. Ed è un paesaggio dell’anima anche questo itinerario incrociato che consentirà ai visitatori di ammirare trentuno dipinti provenienti da Capodimonte, tra i maggiori della pittura italiana, in dialogo con le collezioni del Louvre (dalla Danae di Tiziano alla Flagellazione di Caravaggio, dalla Crocifissione di Masaccio all’Antea del Parmigianino) oppure in grado di completarle consentendo la presentazione di scuole che sono poco rappresentate o non lo sono affatto – in particolare, la singolare Scuola napoletana, con artisti dalla potenza drammatica come Jusepe de Ribera, Francesco Guarino o Mattia Preti.

È la prima volta nella storia che il museo parigino dedica una grande esposizione a un altro museo. L’antica fortezza di Charles le Sage è sempre stata gelosa dei suoi tesori, delle sue memorie, dei suoi stessi spazi espositivi. La scelta di far “dialogare” le due collezioni porterà lustro ad entrambi i musei ma è soprattutto una prova d’orgoglio per Napoli, città dalla straordinaria proiezione internazionale che nonostante gli affanni, gli sfinimenti e la moltitudine di problemi, sta vivendo una stagione esaltante sul piano culturale e turistico, oltre che, naturalmente, su quello sportivo. E non vuole smettere di stupire il mondo. 

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