Il civismo che manca ​per frenare il degrado

di Titti Marrone
Giovedì 24 Giugno 2021, 00:00 - Ultimo agg. 06:00
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Un balordo passa, si appende al cesto da basket, lo stacca dal tabellone, se lo porta via e che ne fa? Lo scopo, immaginiamo, non è tanto usarlo, ma proprio divellerlo dal campetto realizzato in piazza Garibaldi, nell’area intorno alla stazione della metro. Per lasciare un segno di sé che è sfregio alla bellezza, disprezzo per la cura di un luogo pubblico che viene oltraggiato invece che fruito, come si potrebbe essendone destinatari. Solo per il gusto di vandalizzare, compiere uno di quegli atti che sono tipici del disamore per la città. Atti gratuiti, stolidi e soprattutto autodistruttivi. Come darsi una martellata sui denti, o altrove.

E dire che, appena inaugurato, quel posto si voleva, ed era, bellissimo, arioso, perché era stato pensato come un’agorà per invogliare i giovani residenti della zona al gioco ed i turisti in transito all’ammirazione. Invece, come ha ben documentato il nostro Gennaro Di Biase nel suo reportage di ieri, è diventato l’ennesimo monumento al degrado urbano. 

Non serve chiamare in campo sempre e solo le responsabilità di chi amministra, pure esistenti perché, quando esiste una efficiente capacità di governo della città, la manutenzione urbana diventa priorità e scelta politica precisa. Ed è vero che è mancato del tutto un riordino, una dimensione operativa articolata sulla pianificazione degli interventi urgenti da realizzare e su quelli in grado di assicurare il mantenimento dello status di lavori già svolti. Ma il precipizio di incuria verso cui sta scivolando velocemente la piazza della metro progettata da Dominique Perrault dice anche, o forse soprattutto, di una responsabilità di chi ci abita, dei residenti della piazza, di quelli del Vasto.

Responsabilità degli immigrati, certo, che con il mercatino dei rifiuti innegabilmente ammorbano l’arena. Ma anche dei napoletani dediti a traffici e svariate attività truffaldine non meno foriere di degrado. Con lo scadere della convenzione tra Comune e Metropolitana per le riparazioni e la gestione dei dissesti, dalla fine dello scorso anno il baratro della piazza Garibaldi, con il suo anfiteatro vuoto, le giostre per i bambini fatte a pezzi, la foresta di erbacce e le scritte deturpanti, procede ogni giorno di più con l’intensificarsi di saccheggi non più impediti da una vigilanza costretta ad intervenire da un punto all’altro della città anche in funzione di controllo degli assembramenti. Così quello che doveva essere il biglietto da visita della città, il salotto buono spalancato davanti ai turisti in arrivo dopo la stazione in funzione propiziatoria, diventa una terra di nessuno.

E sì che il Comune aveva immaginato, e provato a incoraggiare, una «tutela collettiva» della piazza, invitando associazioni, cittadini, residenti a prendersi cura dei luoghi. Al posto di questo progetto, ha vinto l’omologazione di tutti, immigrati e napoletani, uniti, sì, ma nel disprezzo per un bene pubblico che pure era stato pensato anche, o soprattutto, per loro.

Per contrasto, l’esempio della «tutela collettiva» fallita di piazza Garibaldi ne fa venire in mente un altro, al contrario riuscito alla grande e nato non da un intervento ex novo, ma da una antica persistenza trasformata in altro. È quello della High Line di New York, un parco lineare sorto al posto di una vecchia ferrovia sopraelevata che percorreva il West Side e diventato uno spazio di verde pubblico sviluppato per circa 2,5 chilometri sulla ex strada ferrata dismessa nel 1980. Lì i residenti si sono messi insieme, costituendo un’associazione (Friends of High Line) che dal 1999 si è opposta all’ipotesi di abbattimento della antica ferrovia, ha progettato, proposto e finanziato con una sottoscrizione dal basso la riqualificazione in parco urbano. Oggi quell’insolito parco sopraelevato, dove si può andare a fare jogging, a giocare al pallone, a pattinare, a portare cani e bambini, ad assistere a piccoli spettacoli o semplicemente a passeggiare, è diventato una delle destinazioni più popolari del turismo newyorkese, ma soprattutto ha rivivificato il quartiere ed è goduto pienamente dai suoi residenti.

E che a Napoli una delle strade giuste sia anche quella che parte «dal basso» – come hanno fatto a New York – lo dicono gli esempi delle associazioni di cittadini che provano a fare, nei rispettivi quartieri, il contrario di ciò che fanno i residenti della zona di piazza Garibaldi. Associazioni dedite alla cura, alla valorizzazione, all’abbellimento del proprio quartiere. Una tra tutte, «Valore verde» che ha piantumato alberelli a piazzetta Fuga e ora sta progettando un intervento analogo in via Cilea, cercando finanziatori privati. Perché le città hanno bisogno di cittadini che non siano sempre in attesa di interventi e iniziative provenienti da istituzioni chiamate ad amministrare con scarsità di fondi e con risorse sempre più penalizzate dai tagli subìti dagli enti locali. A Napoli ce n’è bisogno più che altrove, e certo il nuovo sindaco dovrà inserire ai primi posti del suo mandato la cura del vivere, simile a una tensione amorosa da mettere in campo anche da parte dei cittadini. 

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