Nuovi locali per piazza Garibaldi, è l'ultima chance

di Antonio Menna
Giovedì 16 Settembre 2021, 23:11 - Ultimo agg. 17 Settembre, 06:00
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C’è un buco nero all’ingresso di Napoli, si chiama Piazza Garibaldi. Come per un maleficio, sembra risucchiare ogni progetto di recupero, ogni sogno di rilancio, ogni proposito di riscatto, in un pozzo di degrado, che alza assordante il suo rumore, detta il suo tempo, contamina di sé, come un Re Mida all’incontrario, tutto quello che si avventura nel diametro del cerchio imperfetto che si irradia dai binari della Stazione centrale e si allarga verso il mare, da un lato, verso il centro storico, dall’altro, e sembra la tremante onda lenta di un terremoto costante, così piano da essere impercettibile ma così infiltrante da rendere vano ogni tentativo di stare in piedi.

Eppure ci hanno provato. Per una volta non si può parlare di disinteresse quanto, invece, di un naufragio continuo, la collisione perpetua della buona volontà sulla lesione nascosta del male incurabile. Lato destro, lato sinistro della piazza, un lunghissimo cantiere, poi l’inaugurazione nel 2019: i percorsi pedonali rimessi a nuovo, l’arredo urbano, il parcheggio, le panchine, un campo di basket, perfino un anfiteatro in pietra, i giochi per i bambini, un selciato calpestabile, la pubblica illuminazione, gli alberi, le aiuole. Le carte, per una volta, erano tutte in regola. Ma anche quel grande progetto, così atteso, e così ammirato, si è sporcato, e ci è voluto pochissimo, qualche mese. È tornato il suk. Sono tornati perfino i giocatori delle tre carte, i motorini sui marciapiedi, le bancarelle che tolgono lo spazio ai pedoni, le motoseghe a tagliare gli alberi, i rifiuti nelle aiuole, le recinzioni distrutte, le panchine divelte, la paccottiglia, i poveri diseredati che, nel fallimento plateale delle politiche di accoglienza e di inclusione. 

Piazza Garibaldi, a pochi passi il marciapiede di corso Novara è tornato un dormitorio a cielo aperto, con annesso Vespasiano, e l’imprescindibile cumulo di rifiuti, e poi dentro i vicoli ancora di più. Una immigrazione scomposta, caotica, evidentemente non organizzata, lasciata a piccoli gruppi di interessi di strada, che invade ogni angolo, con centinaia di persone che mangiano, bevono, fumano, si drogano perfino sugli scivoli dei bambini, o in quella arena che doveva servire a socializzare e invece sembra il catino desolante della solitudine degli ultimi della Terra. È sconfortante arrivare a Napoli col treno, se subito dopo non ti lasci inghiottire dalla metro, o non salti nell’abitacolo di un taxi; se hai l’idea – a chi non viene nelle altre città? – di sentire subito il luogo sotto i tuoi piedi, avventurandoti a passeggiare nei dintorni, non trovi alcuna traccia di nessuna bellezza.

Altro che paradiso abitato da diavoli. Da Napoli ferrovia, la città sembra un inferno abitato da disperati. E lo scenario non muta oltre la piazza, verso i marciapiedi di Porta Nolana, dove va in scena un mercato dell’usato organizzato da poveri che vendono ai poverissimi. Oggetti usati di triplice mano: abbandonati nei rifiuti, raccolti dai mendicanti, rivenduti ai disperati. Mentre i vicoli che portano a Porta Capuana, e poi quelli che si infilano come capillari sul corpo del Rettifilo fino a Forcella, sono mappe della prostituzione più estrema, più promiscua, insieme alla grande fabbrica del falso, alla bancarella del tarocco, fino al famigerato pacco: “ti vendo un iPhone”, porti a casa un mattone. 

Che si deve fare per dare dignità a questo chilometro di benvenuto a Napoli? 
L’impresa privata non smette di crederci, di rilanciare e riprovare. Ci provano gli alberghi, bastonati dalla pandemia; ci provano i pochi commercianti che vendono merci e non “merciume”. 

Ci provano, per ultimo, anche questi imprenditori della Food Hall di Napoli centrale, appena inaugurata: quattordici nuovi bar e ristoranti dentro la stazione, per provare a fare della terza città d’Italia, qualcosa che somigli alle altre due, alla galleria di Milano, ai Mercati Generali di Roma Termini. C’è una energia indomita, la voglia di fare non manca, riprovare, perfino rischiare. Ma servirà questo nuovo sforzo? Ogni volta ci si augura che sia quella giusta. Ogni volta si confida nella potenza trasformativa della buona volontà. Ma la grande paura è in agguato. Degrado produce degrado. Abbandono moltiplica abbandono. Il buco nero di piazza Garibaldi ingoierà anche questo, lasciando i residui organici di altri fallimenti e nuove false speranze, oppure riusciamo a illuminare una opportunità per una volta, e scriviamo una storia davvero nuova?

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