Prodotti doc, la rivolta del Sud «Esclusi da scelte politiche»

Prodotti doc, la rivolta del Sud «Esclusi da scelte politiche»
di Luciano Pignataro
Sabato 29 Luglio 2017, 23:50
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Il Mezzogiorno penalizzato dagli accordi dell’Unione Europea con il Canada e la Cina? Più che una scelta è una fotografia di una debolezza cronica dei consorzi del Sud, spesso inesistenti, il più delle volte bloccati dai ricorsi come è accaduto per un decennio alla dop dell’olio nel Cilento o dagli scontri come è successo quest’anno con il vino in Irpinia. Raramente funzionano. Non sarà un caso che l’unico prodotto è la mozzarella di bufala, quatrocentomila capi, 600 milioni di euro, un Consorzio che conta sia per il presidente Mimmo Raimondo, al suo terzo mandato, sia perché il direttore Piermaria Saccani è uomo gradito al ministero, ex direttore dell’associazione di tutti i consorzi d’Italia. «La scelta è opinabile - spiega il direttore del Consorzio Sannio Vini Nicola Matarazzo, l’unico veramente a pieno regime - perché nella trattativa non siamo riusciti ad avere un peso maggiore. Voglio pensare però che sia uno spiraglio aperto per tutti». Sulla stessa lunghezza d’onda il presidente del Consorzio della Pasta di Gragnano Giuseppe Di Martino, l’unico in Italia, escluso dalla lista nonostante la pasta sia un alimento che parla italiano nel mondo sia per qualità che per quantità: «Quando sono venuto a conoscenza della lista mi sono attivato subito - spiega - rivolgendomi al ministero, mi hanno spiegato che le liste sono state fatte nel 2009, quando molte della dop e delle igp attuali ancora non esistevano, la chiusura su cosa si doveva negoziare in realtà è stata fatta nel 2014, un anno dopo il riconoscimento della nostra igp. In futuro potranno essere modificate le liste dopo la ratifica dell’accordo su richiesta dei consorzi».


Ma anche prendendo come buona la linea temporale del 2009 ci sono conti che non tornano: le tre delle cinque dop campane dell’olio risalgono all’inizio degli anni ‘90, per non parlare di quelle pugliesi, vero serbatoio italiano. Sarà un caso, ma a quell’epoca il ministro dell’Agricoltura era Luca Zaia che è riuscito ad inserire tutte le dop dell’olio veneto, una goccia rispetto a quello pugliese. Una evidente forzatura che ha penalizzato il Sud. Del resto Zaia fu anche protagonista di un tentativo di colpo di mano ai danni del Consorzio della Mozzarella, commissariato senza motivo. «Io credo che ci sia poco da aggiungere - spiega Savino Muraglia, il produttore di Andria che ha rivoltato come un calzino l’immagine dell’olio in Italia abbinandolo a vere e proprie creazioni artistiche ormai famose in tutto il mondo - il mondo dell’olio dop non ha mai contato nulla sul piano politico se non nei concorsi. La grande massa ha continuato a produrre fuori dai disciplinari come commodity, magari poi imbottigliata da altri, quindi, alla fine, per questi cambia poco o nulla. Sarà come prima». In ogni caso Giuseppe Di Martino è ottimista: «Voglio considerare questo accordo un primo passo, una apertura e non una chiusura. Avere delle regole in comune con il Canada, e soprattutto con la Cina, significa finalmente aver potuto aprire un dialogo nel quale ci possiamo inserire. Certo, arriviamo tardi rispetto a molti altri, ma ci siamo e i numeri Ismea sulla produzione agroalimentare del Sud nel 2015 parlano molto chiaro. Siamo in forte crescita».


Senza voler scomodare dop e igp sconosciute ai più, come la cipolla di Acquaviva in Puglia o quella di Montoro in Campania, l’altro grande assente da questa partita è il pomodoro. Due sono le dop, entrambe in Campania, quello del piennolo e il San Marzano. La prima è relativamente giovane e la produzione basta appena a soddisfare la domanda interna della Campania che è altissima da quando le pizzerie girano a pieno regime. Ma la seconda è storica, ma da sempre non ha alcun peso politico nelle trattative internazionale perché in realtà il San Marzano è una goccia nel mare di pomodoro prodotto in Italia, assolutamente irrilevante sul piano economico. «Non ci resta che lavorare sul marchio - dice Peppino Napolitano, che con Solania e altri marchi è il maggiore produttore, fondatore del presidio Slow Food. Sinceramente per me bisogna dare più una lettura politica di quello che è accaduto, ossia sul fatto che nelle trattative il Sud non ha alcun peso politico. Nei fatti non abbiamo preoccupazioni perché la richiesta interna e internazionale è costantemente superiore alla offerta e non riusciamo ad accontentare tutti».


E se non c’era spazio per pomodoro, pasta, olio e ricotta di bufala (altra dop) figuriamoci che speranza potevano avere il cipollotto nocerino, il fico bianco del Cilento, e tante altre varietà a marchio europeo della Campania e del Sud.
Insomma, se i numeri della ripresa agricola del Mezzogiorno sono incoraggianti, prima di arrivare alla forza politica di regioni come il Veneto, l’Emilia, la Toscana e il Piemonte, pensiamo che ci vorrà ancora molto tempo. Anche perché, diciamolo, gran parte delle energie comunicative di molti produttori sono spese a denigrare il prodotto degli altri più che ha esaltare i propri. Un gioco al massacro che va avanti da vent’anni con questo risultato: solo quattro dop su 52 sono del Sud. «C’è poca consapevolezza - conclude Di Martino - e scarso interesse a fare sistema. Come Pasta di Gragnano abbiamo organizzato a maggio una giornata a Città della Scienza invitando tutti. Vuole sapere quanti hanno aderito all’invito? Lo ricordo bene: nessuno».
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