Un argine sociale ​alla violenza dilagante

di Titti Marrone
Martedì 31 Maggio 2022, 00:00
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Era un commando, un vero e proprio commando formato da sei giovani su tre moto quello che domenica notte, al Corso Amedeo di Savoia, ha lanciato dell’acido sui volti di Elena e Federica, di diciassette e ventiquattro anni. I sei le hanno avvistate, seguite, affiancate e colpite in faccia con il liquido corrosivo per poi scappare via. E se può costituire elemento insolito il fatto che, stando alle prime indagini, ad effettuare il lancio siano state tre coetanee delle ragazze sedute dietro a ciascun guidatore e intenzionate a sfregiarle, non è per nulla nuova la carica di violenza contenuta in quanto è accaduto. Stavolta con l’acido, altra new entry nei weekend della brutalità napoletana, come per firmare un regolamento di conti vigliacco, orchestrato per lasciare un segno permanente di vendetta. Ormai quasi non c’è fine settimana che non faccia registrare aggressioni, scontri tra gruppi di giovani spesso minorenni armati di tirapugni o spranghe, coltelli o addirittura pistole, in un crescendo sempre più preoccupante. È una marea montante di violenza che non sembra conoscere argini ma si gonfia a dismisura, dilaga senza distinzioni né di zone – a via Petrarca come alla Stazione centrale, a Marano e Qualiano come al Vomero e al centro storico – né di appartenenza sociale dei partecipanti. 

E se le semplificazioni espressive - “Far West”, “baby gang” eccetera – aiutano a fare i titoli e a rendere l’idea, mortifica e sgomenta dover riempire pagine e pagine per segnalare una realtà che non si può più rubricare sotto la dicitura di “movida”. Perché non c’è proprio niente ad avvicinare l’escalation di queste violenze, spesso bagnate dall’alcol e rinvigorite da droghe pesanti, e il legittimo diritto giovanile al divertimento serale, reso ancora più desiderabile dopo due anni di pandemia.

E forse il punto è anche questo: di sicuro una delle chiavi per accedere alla comprensione del dilagare di questo fenomeno sta proprio nel protrarsi di una reclusione che ha compresso troppo a lungo esuberanze ed esigenze di socialità, aumentando lo spaesamento giovanile e la solitudine. Ma si tratterebbe, ora, di andare oltre il dato descrittivo. E per esempio, dovremmo leggere questi avvenimenti non più come episodi frammentari, isolati uno dall’altro, ma come parti di un quadro d’insieme.

Il quadro composto dalle tessere del dannato puzzle consegnateci ogni fine settimana dalla cronaca è quello dello scadimento dei rapporti interpersonali tra i giovani, della perdita di vista dell’altro, compreso il proprio simile. Altro che “andrà tutto bene”… la segregazione forzata da lockdown, invece di migliorarci, ha amplificato le diffidenze e addirittura rafforzato l’abitudine a riferirsi al prossimo come portatore di pericolo da tenere a distanza, da allontanare quando non addirittura da aggredire.

Ma poi. Possibile che tanti ragazzi, a volte appena usciti dall’adolescenza, escano di casa con coltelli o peggio e se ne vadano in giro armati senza che nessuno in casa se ne renda conto e li blocchi? Anche da noi comincia a essere troppo diffuso e facile l’accesso alle armi, ed ha ragione il pm antimafia Giuseppe Visone quando, in un’intervista al Mattino pubblicata ieri, sottolinea il rischio di una specie di americanizzazione nella circolazione di pistole e affini.

Abbiamo tutti negli occhi le immagini che, mostrando la strage della Sandy Hook Elementary School in Texas, hanno evidenziato a quale follia possa portare l’attitudine così diffusa ad armarsi. Dovremmo tutti guardare la raccolta di immagini Ameriguns, del fotografo toscano Gabriele Galimberti, vincitore del World Press Photo 2021: vi si vedono amene villette circondate da prati tappezzati a perdita d’occhio di fucili, kalashnikov, pistole e mitragliette di tutti i tipi a canne lunghe e mozze, da borsetta per signora e più maneggevoli per ragazzi. Alcune famigliole ne hanno tante da esaurire lo spazio sul prato e disseminarle orgogliosamente anche sui tetti. In una foto un ragazzino che non avrà più di dodici anni imbraccia soddisfatto il suo fucilino, regalo paterno di compleanno, sotto l’occhio amorevole di mammina.

Vogliamo diventare così? E riusciamo a immaginare che succederà se la facilità a girare armati fin da ragazzini, già fin troppo diffusa in ambienti di camorra, si diffonderà senza alcun controllo? Sì, va bene, servono i controlli delle forze dell’ordine. Ma serve anche che le famiglie vigilino meglio e di più. E che lo facciano anche i ragazzi, isolando i coetanei violenti che insanguinano le notti della loro allegria ritrovata. 
 

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