Altro che diritto alla scuola sancito dalla Costituzione. Altro che ritorno sui banchi dopo quasi sette mesi come grande occasione per un cambio di registro radicale. La riapertura delle scuole a Napoli, si sta rivelando l’ennesima vergogna, l’ennesima figuraccia della città.
E la sanificazione post elettorale mancata, o in ritardo, che viene evocata come scusa per spiegare lo slittamento al 28 settembre suona come ultima beffa: perché, non si sapeva già prima che sarebbe stata necessaria? Sembra di vivere in un mondo a parte, dove ciò che sarebbe opportuno fare per il normale procedere della vita collettiva si scopre sempre il giorno prima per il giorno dopo, come se tutto piovesse addosso agli amministratori pubblici alla stregua di un fulmine a ciel sereno. Ma ora siamo addirittura oltre l’immobilismo e la paralisi: con la défaillance sul ritorno a scuola, siamo all’incapacità di programmare fatta sistema.
E tanto per cambiare, le conseguenze ricadono pesantemente sui napoletani. Sulle famiglie, dove per andare al lavoro i genitori sono costretti a improvvisare dribbling di presenze nell’avvicendamento con i figli ancora a casa; sulle mamme, come sempre le più penalizzate sia in caso d’impegni esterni sia in quelli casalinghi.
E ricadono anche sui nonni, che dovrebbero essere in questa fase almeno un po’ tutelati nel contatto con i nipoti, e invece sono spesso mobilitati a sopperire alle necessità dell’ultimo momento; e quelle conseguenze ricadono sui bilanci domestici, appesantiti da ricorsi a babysitting dispendiosi. Ma poi su tutti c’è il prezzo pagato dai ragazzi delle scuole di ogni ordine e grado, tenuti lontani dall’urgenza di un apprendimento che, nonostante le chiacchiere, continua a essere sostanzialmente oggetto di una rimozione generalizzata.
Lo sappiamo bene, già prima del Covid la scuola napoletana era un concentrato di record negativi: in cima alle classifiche per l’alto tasso di abbandono scolastico, la quantità di edifici inadeguati o insicuri, le aule sovraffollate, le carenze negli organici, la mancanza di dotazioni tecnologiche adeguate. Adesso il ritardo nella riapertura appunta l’ultima medaglia al disonore sulla maglia nera della scuola di Napoli. Oltre a mancare la sanificazione, manca qualche migliaio di docenti, mancano gli insegnanti di sostegno, mancano i bidelli, mancano i banchi, mancano i termoscanner, mancano le mascherine e le altre dotazioni di sicurezza, in certi casi manca anche il sapone per lavarsi le mani. Da alcune scuole arrivano anche segnalazioni di bagni inagibili o fatiscenti, sterpaglie non rimosse, alberi pericolanti: altrove i dirigenti scolastici hanno fatto di tutto, a volte arrivando anche a rimboccarsi le maniche assumendo responsabilità e iniziative dirette, ed anche in questo il confronto con altre zone d’Italia, dove bene o male le scuole hanno riaperto già da una decina di giorni, è a dir poco impietoso.
Perché da noi non sono bastati tanti mesi per prefigurarsi quello che sarebbe stato necessario per ricominciare? E dire che proprio a Napoli, a causa dei problemi pregressi già fin troppo noti, sarebbe stato impellente stringere uno speciale patto comunitario tra istituzioni, sindacati e dirigenti scolastici, associazioni di genitori, organizzazioni di quartiere, di volontariato e civiche, strutture religiose ed educative pubbliche e private. Per affrontare, un pezzo alla volta, le difficoltà concrete che, ripetiamo, si conoscevano già benissimo, di cui si sapeva che sarebbero aumentate. Ci sono stati sette mesi di tempo per affrontarle, per mettere a fuoco il modo di far ripartire la scuola in sicurezza, ma che cosa è stato fatto in tutto questo tempo?
Perché ad esempio nelle graduatorie dei docenti regna il caos, perché risultano inaffidabili, zeppe di errori che nel frattempo potevano pure essere corretti? Com’è possibile che ci siano casi di insegnanti convocati con avvisi notturni per prendere servizio la mattina dopo alla prima ora? Questo, come tante altre disfunzioni, ha poco a che vedere con l’emergenza sicurezza, di certo prioritaria, che adesso va aggiungersi a un cahier de doleance già fittissimo di voci.
Archiviata la tornata elettorale, non c’è politico o pubblico amministratore che non infili, nella prima frase sui propri intendimenti programmatici, la parola “scuola”. Ora sarebbe il caso veramente di passare dalle parole ai fatti, perché le frasi successive suonino credibili, anzi sarebbe pure tardi.
L'ultima figuraccia sulla pelle dei bambini
di Titti Marrone
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Venerdì 25 Settembre 2020, 00:00 - Ultimo agg. :
07:00
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