Le responsabilità: Carlo il calmo e i ritardi della società

di Francesco De Luca
Martedì 5 Novembre 2019, 00:00
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Toni garbati, ma realtà inconfutabile: per la prima volta - almeno ufficialmente - De Laurentiis e Ancelotti distanti e su un argomento non di poco conto. Lo strappo, celato dall’allenatore con un signorile ma forzato sorriso, si consuma a proposito del ritiro «costruttivo e non punitivo» deciso dal presidente dopo aver visto la squadra crollare a Roma e scivolare al settimo posto in campionato, fuori dall’Europa, non solo dalla Champions. 

«Non sono d’accordo, ma l’allenatore fa l’allenatore e la società fa la società», il commento di Ancelotti, autentico aziendalista che stavolta si schiera dalla parte dei giocatori, stasera impegnati nella sfida con il Salisburgo che può regalare al Napoli la storica qualificazione agli ottavi Champions con due turni di anticipo. Sarebbe un bel segnale di ripresa e attenuerebbe tensioni inevitabili dopo i recenti risultati: tutto ok in Europa, ma il campionato?

De Laurentiis ha avuto la sensazione di una squadra slegata («Bisogna fare un lavoro di amalgama»), forse anche incapace di tenere alta la tensione. Ancelotti non è riuscito a risolverne i problemi, che partono da lontano: dal post-Sarri. Un Napoli degno «di questi colori», come ha detto il presidente con una mozione degli affetti, si è vista nei primi quattro mesi del primo anno di Ancelotti e in questa stagione soltanto in due partite di Champions. L’assenza di continuità è allarmante e probabile segnale di una condizione precaria. La squadra non regge gli impegni a distanza ravvicinata, gioca a sprazzi: 70’ con l’Atalanta, 20’ con la Roma. Tornato in Italia nella primavera 2018, Ancelotti è stato proiettato in una dimensione differente da quelle vissute tra il Milan e i club stranieri. Certi metodi di allenamento possono andare bene per calciatori di primissima fascia: ad esempio Cristiano Ronaldo, alle dipendenze di Carlo a Madrid, lavora anche nella sua palestra personale, lontano dal campo, quanti azzurri potrebbero mai farlo? Servono qui altri metodi e altri carichi? Il ritiro a oltranza, punitivo o costruttivo che sia, è un’abitudine italiana, peraltro non di tutti le società. De Laurentiis l’ha rispolverata perché il momento è delicato e pretende la massima concentrazione. Per la prima volta entra nelle vicende dello spogliatoio perché vede il Napoli a tre punti dal quarto posto e ci sono cinque squadre tra la sua e la Juve. È un’entrata a piedi uniti, da imprenditore preoccupato per il funzionamento della sua azienda, dopo averla studiata da vicino in questi giorni, trascorrendo più tempo del solito accanto ad Ancelotti e ai giocatori. Ha tentato di stimolarli e quella dell’Olimpico è stata una deludente risposta. Ne aspetta un’altra più convincente stasera, dopo aver punto gli azzurri nell’orgoglio.

De Laurentiis non ha alzato la voce come fece ai tempi di Benitez, quando spedì il Napoli in ritiro dopo l’eliminazione dalla Coppa Italia 2015, o quando attaccò Sarri e gli azzurri (Insigne escluso) per aver perso 3-1 in casa del Real Madrid negli ottavi Champions 2018. Ha preso il comando delle operazioni, mettendo in un angolo i dirigenti che affiancano Ancelotti, e ha fatto trapelare che rinvierà il viaggio negli Stati Uniti per essere vicino ai giocatori, anche nel ritiro di Castel Volturno. Avrebbe però potuto anticipare questo intervento, perché è da tempo che il Napoli offre prestazioni così alterne, brillando in Europa (almeno in due partite su tre, le più difficili) e deludendo in campionato. È evidente che gli azzurri abbiano stimoli differenti in Champions e lo ha ammesso Meret dopo la vittoria a Salisburgo. Non è casuale che il presidente abbia chiesto motivazioni forti anche in campionato, perché uno dei primi 4 posti resta il principale traguardo per un club che ha nei diritti televisivi e nei contributi Uefa le più importanti forme di finanziamento. Restasse fuori dalla Champions 2020-2021, il bilancio sarebbe in rosso non soltanto per Ancelotti, andato al di sotto delle aspettative anche nella scorsa stagione, perché migliore sarebbe potuto essere il cammino in Europa League e in Coppa Italia.
Finora vi era stata totale sintonia tra l’allenatore e il presidente, con l’auspicio di quest’ultimo di prolungare il rapporto oltre la scadenza del contratto (2021). Vi è, in questo caso, una netta presa di distanza: adesso Ancelotti sembra più quello che abbraccia Insigne e i suoi compagni dopo il gol della vittoria a Salisburgo. E lui, come De Laurentiis, aspetta un forte segnale stasera, con una vittoria che varrebbe il passaggio ai quarti se il Genk non vincesse a Liverpool.

L’Europa risveglierà il Napoli? Lo spingerà a giocare ad alta intensità, ad essere compatto in difesa e a centrocampo e più preciso in attacco? Serve coraggio in questo appuntamento che deve dare agli azzurri e a chi lo ama più di una risposta. E, si spera, una ragione di speranza per i prossimi mesi. Uno scatto deciso, come non vi è stato dopo la vittoria a Salisburgo, con due punti in tre partite. Gli austriaci sono avversari scomodi, sanno che questa può essere l’ultima chiamata e allora giocheranno con tutto il coraggio dei loro giovani, a cominciare dal bomber Haaland, due gol nella partita d’andata dopo un confronto duro fisicamente e tecnicamente con Koulibaly, difeso ieri da Ancelotti, che si sente in discussione come i suoi giocatori e ricorda che dal 1995 sa quanto è precario questo mestiere, visto che alla Reggiana volevano esonerarlo e lui poi conquistò la promozione in serie A. Ne ha conosciuti tanti di presidenti, con pregi e difetti, uniti dalla mania di dare un consiglio tattico o varcare la porta dello spogliatoio, come ha fatto De Laurentiis per ritrovare l’armonia, il gioco, il vigore, le vittorie: un patrimonio che non può essere stato improvvisamente perso.
 
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