Napoli, «San Ciro Mertens» ora pensaci tu

di Marilicia Salvia
Martedì 23 Novembre 2021, 00:04 - Ultimo agg. 06:00
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Da Milano a Milano, dall’infortunio di Mertens a quelli di Osimhen e Anguissa, da una domenica di sfiga notevole a un’altra di sfiga massima, cambiano gli interpreti e gli allenatori ma il risultato non cambia: zero punti e una spina di apprensione nel cuore, un presentimento nero di depressione sul quale il lunedì uggioso, dopo tanti giorni di sole, mette il suo carico da novanta.

Da Milano a Milano, ti guardi intorno, entri in un bar, fai in giro sui social ed eccolo lì il Grande Sconforto in agguato: vuoi vedere che è l’inizio della fine, vuoi vedere che anche questo sogno è arrivato al capolinea, che in fondo anche stavolta era tutta un’illusione, se all’apparir del vero pure il ritornello del cambio di mentalità s’è sciolto in una favola, se l’infallibile (finora) guru Spalletti è costretto ad ammettere che è mancato il coraggio, non la tecnica, se è bastata la sconfitta del Milan, questa volta, a farci dimenticare lo scudetto in albergo.

Da Milano a Milano, zero punti e (soprattutto) un sacco di cerotti, e ti pareva che non andava a finire così, giusto adesso che entriamo nel cuore della stagione, adesso che abbiamo da affrontare una partita ogni tre giorni, e anche quest’anno se ne parla l’anno prossimo. Come se non toccassero anche alle altre squadre, infortuni e calendari fitti. Come se non fosse vero che ci poteva andare pure peggio, perché ci poteva succedere di perderlo, il nostro primo posto in classifica, se sabato sera a Firenze fosse andata diversamente. E allora perchè non pensare che piuttosto, lo scudetto, sia stato perduto un’altra volta sulle rive dell’Arno, e questa volta non da noi. Perchè non pensare che, da Milano a Milano, in un oceano di sfiga e una palude di scelte arbitrali per così dire discutibili, è emerso pure un gran ritorno, e che in fondo è proprio vero che non tutti i mali vengono per nuocere. Perché certo sarà dura fare a meno di Victor, delle sue fughe solitarie, delle elevazioni da cestista in area.

Molto meno sentiremo la mancanza dei suoi scatti oltre il filo del fuorigioco, di certi movimenti pasticcioni, ma tant’è, con il tempo imparerà. Solo che da domenica sappiamo che Dries-Ciro c’è, che a Milano abbiamo ritrovato il Ciro perduto proprio lì una stagione fa, e scusate se facciamo i romantici, scusate se insistiamo con certo tifo forse passatista: ma se c’è Dries-Ciro in campo, se c’è lui, il folletto goleador che nella storia del Napoli ha infilato più reti di tutti, il trascinatore che non s’arrende e lotta fino all’evidenza del triplice fischio finale, che volete, noi la fiducia la ritroviamo, in questo Napoli e nella sua capacità di portarsi a casa punti.

Ci fidiamo, ecco, del suo istinto per il gol, della sua inventiva che un sacco di volte ci ha tirato fuori dalle situazioni più bloccate.

Ci contiamo, sulla sua leadership che pure domenica sera è emersa in modo lampante, in quegli ultimi venti minuti in cui gli è toccato di giocare, dopo quel gol da manuale che ha rimesso tutto in discussione, restituito fiato e coraggio alla squadra impaurita e rassegnata, riportato colore sui nostri volti increduli e smarriti, troppo disabituati all’idea della sconfitta per poterla metabolizzare tra le opzioni possibili.

Ok, è vero, all’ultimo secondo ha sbagliato un gol fatto, una palla che avevamo tutti visto già dentro, e che lui ha sparato incredibilmente in cielo, facendo crollare giù lungo disteso il povero Luciano e le nostre residue speranze di riscatto (che più del punticino, che certo avrebbe fatto la differenza, noi volevamo uscire imbattuti da quella battaglia, volevamo mostrarci più forti, migliori dell’ultima volta, insomma da scudetto). Però almeno ci ha provato, si è fatto trovare al posto giusto, e poi diciamolo, ha fatto più lui in quei venti minuti di altri in una partita intera: il che fa immaginare che se di tempo a disposizione ne avesse avuto di più, magari la palla buona l’avrebbe trovata. Lui, il calciatore che non doveva fare il cannoniere, il cannoniere per caso e per istinto, che di palle buone nel Napoli ne ha trovate 137. Lui, Dries-Ciro, lo scugnizzo che guarda il mare e non sa immaginare un suo ritorno in Belgio, il trentaquattrenne forse troppo frettolosamente catalogato tra le riserve nel nome del nuovo, prorompente futuro che non sa farsi ancora presente.

Dries-Ciro che adesso - con qualche settimana di anticipo rispetto allo svolgersi della Coppa d’Africa che, con la partenza di Osimhen, lo avrebbe reso di nuovo indispensabile - ha davanti a sé un’altra Grande Occasione. Come cinque anni fa, quando l’infortunio di un altro centravanti, Arkadius Milik, tenne in ambasce i napoletani giusto il tempo di fare conoscenza con il loro nuovo, piccolo falso nueve. In panchina c’era Maurizio Sarri, guarda caso atteso al Maradona domenica sera. Scommettiamo che lo scugnizzo belga ci terrà moltissimo a far bella figura. Non con il suo maestro e mentore, ma con il suo tecnico attuale: che se gli darà tempo e fiducia, non dovrà cadere lungo disteso in terra, mai più. 

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