Tre euro e cinquanta a persona per visitare la Cappella del Tesoro di san Gennaro diventata da anni il cult imperdibile per il turista a Napoli. E la ragione c’è: qui sono custodite opere di inestimabile valore (dal Domenichino a Ribera), preziose sculture e candelabri d’argento e soprattutto il busto e le ampolle del sangue “blindate” in un’apposita cassaforte con doppia chiave. Attrazione imperdibile, dunque, fino all’altro giorno anche a costo zero ma adesso la Deputazione ha deciso che è arrivato il momento di battere cassa: i progetti di ristrutturazione sono in campo e molto ambiziosi, l’ipotesi di rinnovare il museo per creare una vera e propria “cittadella” del santo sembra essere sempre più concreta. Purtroppo - spiegano i deputati - i fondi scarseggiano e l’ingresso al monumento - come avviene in buona parte delle città europee - deve diventare necessariamente a pagamento se si intende realizzare quelle idee e quei progetti di cui si discute da tempo. A pagamento sì, ma non per tutti.
Gli stessi deputati fanno sapere che continueranno a entrare gratis i residenti in Campania, nati a Napoli e provincia, i minori di 18 anni se accompagnati da un adulto pagante, i religiosi, i giornalisti, i disabili, gli accompagnatori dei disabili e gli insegnanti alla guida delle scolaresche. Una hostess all’ingresso della Cappella - tutt’oggi di proprietà della città e amministrata dalla Deputazione che ha il compito di custodire le reliquie e il Tesoro del patrono - controllerà i documenti dei visitatori prima di staccare i biglietti a chi non rientra nelle categorie esonerate. «L’ingresso individuale a pagamento, - si legge in una nota - va ad aggiungersi a quello posto in essere già da un anno per i gruppi turistici, nell’ambito di un piano di maggiore efficienza gestionale voluto dalla Deputazione - organismo laico nato nel sedicesimo secolo dagli antichi Sedili - che ha intrapreso negli ultimi anni una riorganizzazione volta a massimizzare la conservazione - e la divulgazione - dell’inestimabile patrimonio artistico e culturale che da circa 500 anni custodisce - e accresce - a nome e per conto del popolo partenopeo».
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