Qualcosa si muove sul fronte dell’ordine pubblico. Ci sono più impianti di videosorveglianza, presto arriveranno drappelli di polizia in almeno quattro ospedali cittadini, il contrasto alle piccole e grandi illegalità assume uno spessore più “smart” (che sta per intelligente, efficace, connesso). Qualcosa si muove, ma non basta, almeno alla luce dei dati diffusi nel corso del vertice dell’Anci, con un Rapporto sulle attività di polizie locali nel 2022. Un dossier in cui sono passati al setaccio i comportamenti degli italiani, nelle principali aree metropolitane, soprattutto se diventano protagonisti di azioni illegali o addirittura criminali: quando sono alla guida di un veicolo o quando sono a passeggio in strada, quando passano con il rosso o quando consumano azioni predatorie, criminali o delitti di sangue.
Decisivo il grande occhio, dunque, che rappresenta il primo presidio di legalità da usare a tutela dei cittadini onesti e dei turisti che dalla fine dell’emergenza covid hanno preso a circolare nelle strade italiane. Anche a Napoli, dunque, l’attività di videosorveglianza è in costante crescita. Lo dicono i numeri, le medie statistiche, i calcoli definiti su scala nazionale, che offrono un quadro d’insieme, anche se non raccontano tutto del lavoro messo in campo in questi anni dagli organi di controllo dell’ordine pubblico, ma anche dei passi che sono ancora da percorrere. Proviamo allora a passare dal dato numerico al vissuto di milioni di italiani, sempre alla luce delle statistiche che vanno calate nel vissuto quotidiano, tra vittime e autori di piccole o grandi illegalità.
Partiamo dai dati numerici: secondo il rapporto delle polizie urbane, l’attività di videosorveglianza è in costante crescita: il 79% dei Comuni ha stilato un regolamento di videosorveglianza (erano il 56,5% del 2014). Le telecamere installate nel 2021 sono in media 192 per ogni città (erano 179 nel 2020). La città più videocontrollata è Milano (2.272 telecamere), seguita da Roma (2.123 telecamere installate) e Firenze (1.392 telecamere). E Napoli? Cosa accade a proposito della videosorveglianza nella terza città d’Italia, per altro segnalata in cima alla top ten dei flussi turistici europei?
Il dato sulle videocamere non è stato ufficializzato in seno al convegno dell’Anci, in uno scenario che merita di essere raccontato alla luce del lavoro decisamente virtuoso fatto fino a questo momento. Negli ultimi due anni, in sede di Comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza, si è insistito molto sulla necessità di implementare il funzionamento del grande occhio. Un lavoro fortemente voluto dal prefetto di Napoli Claudio Palomba, a stretto contatto con il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, ma anche con la ex inquilina del Viminale Luciana Lamorgese. Ricordate il Patto per l’ordine pubblico stilato in Prefettura a Napoli nel 2021? Chiara la strategia: intensificare i contratti per accendere le telecamere grazie alla sinergia pubblico-privato, all’insegna di una sorta di alleanza di civiltà: tutti gli operatori economici del territorio devono concorrere a costruire una città smart, a rendere più sicure stazioni, porti, aeroporti, ma anche piazze e strade metropolitane. Sgravi fiscali e incentivi a chi decide di investire sulla deterrenza, contribuendo ad allestire una rete di controllo preventivo in grado di scoraggiare azioni non urbane: ce n’è per chi schiaccia il piede sull’acceleratore, nonostante si trovi di fronte a un semaforo rosso, a chi guida usando il telefono cellulare (per telefonate o, peggio, per conversazioni via chat). E non è tutto.
È in questa logica, che anche a Napoli è cresciuta la rete del videocontrollo in un trend che, evidentemente, per raggiungere standard europei deve essere rafforzato e incentivato. Ma conviene attingere dalla cronaca cittadina, per capire la differenza che ancora ci separa da contesti come quello milanese. Rimaniamo a possibili fatti di cronaca nera, alla luce di un esempio che basta da solo per raccontare l’importanza - anche sotto il profilo investigativo - di vivere in una città coperta dalla rete del videocontrollo. È il 19 dicembre del 2020, quando a Milano viene trovato morto - con la gola squarciata da un coltello di venti centimetri - il ginecologo Stefano Ansaldi.
Una vicenda ancora aperta, sotto il profilo investigativo, sulla quale però la Procura di Milano ha avuto modo di utilizzare strumenti dalle parti nostre ancora impensabili. Ragioniamo alla luce delle carte messe a disposizione da parte della Procura di Milano: per i pm meneghini, Ansaldi si sarebbe suicidato, dal momento che non sono state avvistate sagome sospette nei pressi di via Macchi, strada a due passi dalla Stazione centrale del capoluogo lombardo, nella fascia oraria in cui si è registrata la morte del professionista. E come fa la Procura ad essere tanto sicura?
Semplice, si è affidata al «pedinamento elettronico, telematico», virtuale e straordinariamente reale al tempo stesso. Grazie a una capillare rete di videocontrollo, i pm hanno ricostruito e vivisezionato le traiettorie dei passanti che hanno circolato nei pressi del luogo in cui Ansaldi è stato trovato morto. Un giallo risolto, almeno nell’ottica della Procura (sul quale - bene chiarirlo - c’è un’opposizione della difesa, oggi al vaglio del giudice), grazie alle telecamere, che a Napoli presentano delle falle, degli anelli mancanti: un gap che impedisce di garantire i cittadini locali alla stregua di quanto avviene nelle regioni del Nord.