La sconfitta simbolo ​del fallimento

di Piero Sorrentino
Lunedì 28 Settembre 2020, 00:00
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C’è una favola di Esopo in cui compare una espressione, diventata ormai proverbiale, che serve a inchiodare alle proprie responsabilità chi si dà grandi arie: «Hic Rhodus, hic salta», ovvero: «Qui c’è Rodi, salta qui».

Nella storia raccontata dal celebre scrittore greco è l’invito che viene rivolto a uno spaccone che sosteneva di essere riuscito, con un solo balzo, a passare da un piede all’altro della gigantesca statua del Colosso di Rodi. Ma visto che nessuno ne aveva le prove o lo aveva visto in azione, l’ingegnoso narratore traccia una riga nel terreno lunga una decina di metri e invita il millantatore a ripetere il salto proprio sotto i suoi occhi. La notizia della riapertura del lungomare cittadino è il salto di Rodi di questa amministrazione comunale e del sindaco De Magistris, che di questa operazione è stato l’ideatore e il più strenuo difensore. È lungo questa riga stradale che viene beffardamente presentato il conto – proprio mentre il secondo e ultimo mandato si avvia alla conclusione – di dieci anni di annunci, proclami, slogan. 

È nella via-simbolo, nella via-vetrina, che vengono isolate e messe sotto una lente di ingrandimento tutte le carenze, tutte le mancanze di dieci anni di governo della città.

Là, dove più splendeva l’oro di una medaglia appuntata sul bavero con grande orgoglio, avanza adesso il nero implacabile di un fallimento. Ed è una sconfitta che non ha neppure i caratteri nobili che compaiono nelle filosofie orientali, nelle quali è proprio grazie all’essere stati battuti che è possibile attingere alle reali profondità del sé. È un tracollo simbolico – e contemporaneamente assai concreto – che certifica quello che a tutti era noto, che tutti sapevano: l’incompetenza amministrativa che grava da dieci anni su una città che ha fame e bisogno, al contrario, di saperi, competenze, visioni e capacità gestionali. Perché la decisione di riaprire il Lungomare è del tutto opportuna, giusta, sensata. Non si poteva e non si doveva fare altrimenti. Un passaggio obbligato per non spaccare la città in due pezzi netti e non comunicanti. 

Ma il Lungomare, il pezzo più pregiato dei gioielli di famiglia dell’amministrazione De Magistris, viene riaperto perché la galleria Vittoria chiude. In entrambe le direzioni, dopo il tentativo di mantenerla parzialmente agibile. E perché la galleria chiude? Un evento improvviso e imprevisto? Una calamità generata dall’imponderabile azione del Caso? Forse va detto con chiarezza che la galleria, dopo un drammatico sabato sera con chilometriche code di auto costrette a viaggiare su una sola corsia, chiude per totale insipienza di chi ha avuto dieci anni per occuparsene. Chiude perché è da almeno sei anni che i problemi di quel fondamentale corridoio urbano sono noti e sono ignorati, oppure minimizzati, o tamponati con misure estemporanee, palliativi, pannicelli caldi. Chiude perché - alla pari dei parchi pubblici cittadini, delle vie e dei palazzi, delle strade e dei trasporti, e chi più ne ha più ne metta – è stata abbandonata a incuria e degrado, scarsa manutenzione e assenza totale di progetti, abusi e mancata sorveglianza, superficialità e svogliatezze.

La Galleria come il parco Virgiliano, ed entrambi come le decine, le centinaia di luoghi di quella Napoli umiliata e offesa dei quali le pagine di questo giornale si riempiono, da anni, ogni giorno, in una infinita denuncia. Ecco gli effetti dell’ideologismo della Rivoluzione Partenopea, dove le battaglie si sono combattute a colpi di moneta secessionista da stampare in totale autonomia, di flotte da 400 navi per salvare i migranti nel Mediterraneo, passando da isolazionismi politici a presunte cancellazioni unilaterali di debiti ingiusti, e mai per mezzo di un lavoro minuzioso, quotidiano, pancia a terra, poche parole e molti fatti: certo con assai meno appeal mediatico e social, ma quanto più efficace per tutte le napoletane e i napoletani. E tutto questo, quasi come in una maledizione biblica, ricade adesso proprio sul simbolo della grandeur demagistrisiana, sul fiore all’occhiello del rilancio, della ripartenza, della pedonalizzazione che nessuno era mai riuscito a realizzare, del ritrovato orgoglio partenopeo, e via così di stentoree rivendicazioni. 

Quelle auto che, per qualche giorno o settimana o mese, chissà, torneranno («Alla velocità massima di 10 km orari», sottolineano dal Comune) a percorrere via Partenope fino al completamento dei lavori di messa in sicurezza della galleria Vittoria sono l’immagine più amara di un declino amministrativo che con il colore arancione aveva iniziato la sua avventura in città. Credevamo fosse il colore ottimista e speranzoso che stava a indicare una primavera. Invece era solo la tinta del crepuscolo, quando il sole cala all’orizzonte, sul mare.

 
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