La politica delle prebende ​e il suicidio di Forza Italia

di Adolfo Scotto di Luzio
Domenica 13 Dicembre 2020, 00:00 - Ultimo agg. 08:34
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Luigi de Magistris è riuscito a scamparla e ora la maggioranza raffazzonata che lo sostiene, in questo ultimo, indecoroso, scampolo di consiliatura, si appresta a sedersi avida e famelica, come possono esserlo solo i personaggi disegnati dal genio grafico di un caricaturista ottocentesco come il bolognese Augusto Grossi, alla tavola imbandita delle assunzioni e delle nomine nelle grandi partecipate del comune di Napoli, Asia e Anm in testa. Un piatto ghiottissimo, ricco di prebende e voti. Un’occasione da non perdere. Anche perché è l’ultima.

La cronaca che Luigi Roano, ieri, su questo giornale, ha fatto della notte decisiva in cui il bilancio del comune di Napoli è stato approvato per un voto, è impressionante. Tra malori improvvisi, brighe e conciliaboli trafelati, apparizioni misteriose e strategiche ritirate, con il sindaco che rincorre ogni singolo deputato per accertarsi del suo appoggio, il consiglio comunale della terza città d’Italia ha messo in scena il peggio di sé. Solo la caricatura, appunto; la deformazione espressionistica dei volti, potrebbero rendere il clima della gran serata. Per il resto non c’è molto da dire. Tranne su un punto, tutt’altro che secondario. 
La vittoria, per il rotto della cuffia, di Luigi de Magistris è infatti l’umiliazione di Silvio Berlusconi e di quello che resta del suo partito a Napoli. È da dieci anni che la destra cittadina tenta l’assalto a Palazzo San Giacomo ed è da dieci anni che fallisce miseramente. L’altra sera, per la prima volta, aveva tra le mani il colpo decisivo. Poteva mandare a casa il peggior sindaco nella storia di Napoli, come ama ripetere da tempo il cavaliere, e invece ha ceduto per il classico piatto di lenticchie. È il trionfo della politica degli straccioni, con il cappello in mano l’ha definita efficacemente Vittorio Del Tufo. 

C’è qualcosa di ricorrente nel modo con il quale i dirigenti berlusconiani arrivano agli appuntamenti politici decisivi della città. È successo nel 2011, quando Gianni Lettieri era nella posizione migliore per vincere dopo il lungo ciclo del centrosinistra a Palazzo San Giacomo, all’indomani tra l’altro dell’incredibile crisi dei rifiuti. E invece, arrivò Luigi De Magistris e si portò via il bottino. È successo ancora ieri. Bastava volerlo e il sindaco sarebbe caduto. Ma Forza Italia non ha voluto. Per essere più precisi, non ha avuto la forza di imporre una decisione già presa dal suo gruppo dirigente; circostanza che in politica è anche peggio.

Fra sei mesi la città verrà chiamata a scegliere il nuovo sindaco. Qualcuno, le cronache attribuiscono la decisione ad un eurodeputato e al candidato perdente nella competizione per la Regione Campania con Vincenzo De Luca, ha pensato che non valesse la pena far cadere de Magistris. L’ha spuntata, convincendo uno dei consiglieri di Forza Italia ad uscire al momento opportuno dall’aula. Sarà anche una mossa abile, ma a dirla tutta non sembra granché intelligente. Forza Italia è un partito di opposizione a Napoli. Dovrà affrontare le elezioni come il partito che ha salvato Luigi de Magistris.

Soprattutto, dovrà negoziare con due alleati ben più piazzati, la Lega e Fratelli d’Italia, sulla base di questa ingloriosa performance. Ora, è anche vero che la politica, soprattutto a livello locale, è poco più che la composizione degli appetiti di un ceto parassitario di eletti in busca di qualche poltrona, ma è altrettanto vero che bisognerà pure rispondere agli elettori. Con quello che è successo la sera scorsa, sembra difficile immaginare che Forza Italia possa presentarsi sulla scena con una qualche credibilità.

La palude napoletana ha finito così per inghiottire un vecchio e affaticato Silvio Berlusconi, incapace di prevalere sugli interessi locali, incomprensibili tra l’altro ai più; ma ha anche indebolito e di molto la figura di Mara Carfagna, che non sembra avere sul partito in città una capacità maggiore di presa di quanta non ne abbia ormai l’anziano leader. Esclusa da troppo tempo dal potere, priva di figure di spicco, con prospettive meno che mediocri davanti a sé, Forza Italia è a Napoli un caotico aggregato di fazioni in disarmo, raccolte attorno ad alcuni notabili di non particolare rilievo. Con essa però si dissolve anche l’illusione di una destra non fascista a Napoli. Di un partito borghese, capace di organizzare sul terreno di una proposta programmatica moderata il consenso di quei ceti urbani tradizionalmente ostili alla sinistra e tra i quali erano ampiamente diffusi orientamenti di tipo missino. Commercianti medi e piccoli, impiegati e funzionari dell’apparato pubblico, bancari, un variegato mondo di interessi e di orientamenti di opinione, che dal fondo monarchico e qualunquista della città degli anni Cinquanta era trasmigrato verso la Democrazia cristiana, pur conservando un legame particolarmente caloroso con Giorgio Almirante e la Destra nazionale. La scommessa di Berlusconi, attraverso la mediazione di Gianfranco Fini, fu di riorganizzare il consenso di questa vasta area sociale. Ci riuscì, indubbiamente; senza tuttavia sfondare mai del tutto a Napoli. Lo sfaldamento di questo fronte è apparso già evidente con la prima campagna elettorale di de Magistris, in cui ha trovato espressione una protesta piccolo e medio borghese carica di tutte le tensioni e le ansie di una città sempre più povera - e poi con il grande consenso raccolto dal Movimento cinque stelle. Da una delusione all’altra.

Nel progressivo peggiorare delle prospettive della città, questi ceti hanno così semplicemente smesso di votare e, soprattutto negli strati più giovani e dinamici, si sono incamminati per le strade di una nuova emigrazione. Il tramonto della giunta arancione è stato anche l’espressione di questo lento spegnersi della città. Vittorioso contro la destra berlusconiana nel 2011, a dieci anni di distanza la fine di de Magistris è anche la fine dei suoi storici avversari. Che cosa ne verrà fuori? Napoli appare oggi sospesa tra il richiamo di ciò che è già stato e un nuovo senza identità. Non sembra una gran scelta, a dire la verità.

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