Quei tassisti senza il Pos che sporcano l'accoglienza

di Piero Sorrentino
Lunedì 25 Aprile 2022, 00:00 - Ultimo agg. 07:00
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Questi sono i giorni del lungo fine settimana per la festa della Liberazione, la scorsa settimana c’è stato il ponte di Pasqua, la prossima sarà quella della festa dei lavoratori, a metà mese – benché a scartamento ridotto – tornerà il Maggio dei monumenti: una lunga, inarrestabile cavalcata verso l’estate che qui in città potrà significare due cose.

Da un lato, la bella stagione come sezione di un ciclo ricorrente, come momento di un flusso regolare che continua e prosegue, dopo la primavera e prima dell’autunno. Dall’altro, come interruzione o sospensione che spinge Napoli in una parentesi disordinata e senza regole, dentro un limbo temporale senza precedenti e senza conseguenze. E come spesso accade, Il nostro rischio maggiore non è l’eccezione, ma la normalità: quella sobria, matura normalità di cui non siamo quasi mai capaci. Perché l’estate, nella nostra storia di città estiva, di mare, vacanziera, è spesso una stagione sciagurata, durante la quale – grazie alla distrazione canicolare di un popolo che non sa resistere al rompete le righe del “tutti al mare” – sotto una certa spensieratezza lascia covare realtà ingestibili. E a combattere sul terreno aspro della città da giugno a settembre ci sono due gruppi sociali agli antipodi: i vacanzieri e i cittadini. I primi riempiono le vie del centro, i grandi alberghi e la infinita teoria di bed&breakfast. I secondi provano a spingere le loro giornate districandosi tra le strade ingolfate e i locali stracolmi. 

Dopo la crisi della pandemia, è forse la prima volta che la città torna a sentirsi stretta nella morsa tra due estremi: da un lato i turisti e la loro voglia di divertimento, dall’altro residenti e cittadini che conoscono bene la brutalità della vita quotidiana a Napoli.

Da un lato il godimento rivendicato come diritto, dall’altro la difficile persistenza dei diritti minimi di cittadinanza scontata come una specie di destino ineluttabile e faticoso. Ancora una volta la scena della città si polarizza agli estremi di una inarrivabile medietà, di una impraticabile normalità. Nel mezzo, la sintesi difficile tra questi due aspetti: approfittare del ritorno e della crescita del settore senza essere sopraffatti dal turismo di massa. Certo, la guerra ai turisti è una moda estiva piuttosto stravagante, perché se è indubbio che un turismo incontrollato è una iattura, è altrettanto vero che un afflusso intelligente e regolato di viaggiatori è portatore sia di opportunità economiche che di doverose aperture culturali. Il punto è che a Napoli questa mediazione non esiste, e tutto quello che di poco e maldestro è offerto ai turisti viene sottratto ai cittadini.

Non c’è un capitale da spartire, c’è un gruzzolo da spostare dall’uno all’altro, prendere o lasciare.

Qualche sera fa, per dire, mia moglie e io siamo tornati da una mini-vacanza in Sicilia. Atterrati all’aeroporto di Capodichino intorno alle 23, dopo appena 45 minuti di volo, ci siamo messi in coda per un taxi e, prima di poter avere la fortuna di prenderne uno, abbiamo atteso 50 minuti. Tre quarti d’ora di volo, quasi un’ora per prendere un mezzo pubblico. Il motivo? Facile a dirsi per chi conosce certe dinamiche: la gran parte dei tassisti sceglieva chi caricare a bordo e chi no. I turisti – soprattutto stranieri – venivano sapientemente avvicinati fin sulla soglia delle porte di uscita e, con quattro parole di maccheronico inglese, invitati a salire a bordo, soprattutto per raggiungere le località della costiera amalfitana. La fila dei napoletani tornati a casa, invece, si ingrossava sempre di più, e qualcuno che aveva pazientemente atteso il suo turno è stato costretto ad attendere ulteriormente, visto che non aveva contanti e diversi autisti sostenevano di non avere il Pos, o che fosse rotto, salvo poi magicamente tirarlo fuori come un coniglio dal cilindro non appena una famiglia tedesca o francese indicava Positano o Sorrento come destinazione da raggiungere.

Inutile dire che non c’era nessuno a controllare: non un agente della polizia municipale, non un addetto dell’aeroporto. Un ragazzo sui trent’anni conduceva una solitaria battaglia a colpi di cellulare, correndo qui e là per fotografare numeri di targa e licenze dei numerosissimi tassisti che commettevano abusi, tra litigi, voci che si alzavano e pure qualche minaccia nemmeno troppo velata. Questo è il catalogo, questo è il copione di scene mille volte viste tra aeroporto, stazione marittima e stazione centrale di piazza Garibaldi. C’erano eccezioni? Certo che sì, ed erano anche voci rabbiose di tassisti onesti, come quello che ci ha finalmente portato a casa parlandoci per tutto il viaggio di quanto questa situazione danneggiasse non solo i turisti turlupinati e i cittadini frustrati, ma soprattutto loro, schiacciati da concorrenza sleale e sotto il peso di una reputazione sporcata da questi comportamenti. Ma sono voci impotenti e rassegnate. Allora, a partire da questo piccolo caso concreto, viene da invocare con forza e grande urgenza l’intervento dell’amministrazione locale affinché concepisca e attui un progetto per la città che vede un ritorno sensato del turismo, senza che debba tornare a rassegnarsi a questo stillicidio quotidiano di inettitudine, a questa oscena sregolatezza. Oppure vogliamo davvero riprendere a tirare la corda dello sconforto e dello scontento, il gioco a somma zero alla fine del quale nessuno è vincitore e tutti ne escono amaramente sconfitti? 

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