La solitudine dei giovani e le colpe degli adulti

di Piero Sorrentino
Lunedì 23 Gennaio 2023, 00:00 - Ultimo agg. 06:00
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È difficile contestare, a chi è giovane oggi, il fatto che si trovi nel miglior periodo storico in cui poter essere giovane. Al netto delle crisi internazionali e della pandemia, avere tra i 15 e i 30 anni – qui e ora in Occidente – significa appartenere alla fetta di umanità probabilmente più agiata, sana, protetta e longeva mai comparsa sulla Terra. Eppure quelle medesime vite sono cariche di dosi di inquietudini, angosce e preoccupazioni tali da creare allarme presso operatori e volontari che pure con il disagio dei giovani hanno una certa abitudine e frequentazione. Da questo punto di vista, i numeri raccontati ieri su “Il Mattino” da Luciana Cappabianca, presidente di Telefono Amico, dovrebbero colpirci con un sussulto di inquietudine e angoscia: le chiamate ricevute dal Centro di ascolto di Napoli nel solo 2022 sono state più di duemila, il sessanta per cento in più di quelle dell’anno precedente. E un numero sempre più alto di queste, raccontano dal Centro, viene appunto da giovani e giovanissimi. Adolescenti soli e problematici, ragazze e ragazzi con problemi in famiglia oppure a scuola. 

Certo, la tentazione potrebbe essere quella di accogliere questi numeri facendo spallucce, liquidando la questione con un sospiro o un moto di compatimento per questi ragazzi sempre troppo fragili, che si smontano con un nonnulla, che proprio perché protetti e privilegiati non hanno mai conosciuto il morso della vita vera, non si sono mai imbattuti nei veri ostacoli dell’esistenza. E forse in parte questo è pure vero, mettiamo in conto pure che questa generazione di protetti e tutelati non ha – per sua fortuna – incontrato guerre, fame, carestie, pestilenze, povertà, e dunque al primo intralcio ecco che il loro castello di sicurezze crolla con un soffio.

Ma a questa constatazione dovrebbe farne seguito un’altra, cioè la necessità di una chiamata in correità degli adulti, un’auto-convocazione sul banco degli imputati di padri e fratelli maggiori, di educatori e di classe dirigente, di tutti quelli che, a un certo punto, quei medesimi giovani hanno cominciato a vederli come orde barbare, estranei che per qualche motivo si sono trovati in casa, una massa disordinata e senza volto che nel nostro immaginario ha sostituto lo straniero clandestino e predatore inventato da anni di cattiva televisione e giornalismo per rimpiazzarlo con adolescenti armati di smartphone dei quali ci siamo sentiti autorizzati a disinteressarci, perché tanto erano da considerare tutti persi e irrecuperabili.

Ce li troviamo tra i piedi il sabato sera al centro storico, a bere alcol di dubbia qualità, a compiere risse, a farsi beccare dalla polizia con coltelli e tirapugni, oppure viceversa a essere vittime dei loro stessi coetanei, picchiati, bullizzati o rapinati, sbattuti sui social e insultati, esposti all’occhio e al divertimento feroce della piazza digitale più pericolosa che ci possa essere. Ci infastidiscono. Ci lascia a bocca aperta il loro disinteresse per il divertimento dei nostri tempi, per una bella partita di pallone con le ginocchia sporche di fango o per le prime scoperte erotiche che hanno invece deciso di delegare, anche in questo caso, alla smaterializzazione del digitale, alla incorporeità degli smartphone. Quella frattura ormai è diventata parte integrante delle nostre vite, assieme alla sensazione di estraneità radicale tra noi e loro che ha scavato qualcosa di simile a un vero e proprio solco antropologico tra il mondo adulto e quello giovanile, quel vissuto di reciproca incomprensione tra animale vecchio e animale giovane che ha trasformato, d’improvviso, gli adolescenti in veri e propri estranei, in fantasmi che parlano in una lingua inaccessibile.

Ma forse prima di puntare il dito verso l’esterno, sarebbe utile rivolgerlo contro noi stessi. Invece di stupirci di un’oscenità al di fuori di noi, dovremmo guardare dentro di noi per proporre alternative a quei ragazzi che saranno a loro volta adulti. Quanti di noi – il primo telefono amico, che dovrebbe funzionare da argine alla necessità di rivolgersi all’altro Telefono Amico – parlano con i propri figli adolescenti, o nipoti, o studenti? E quanti lo fanno proprio a partire da quei due luoghi, la famiglia e la scuola, che sono stati il centro del bombardamento politico di questi anni, rimpiccioliti nel loro ruolo essenziale di crescita e scambio? In una città, poi, che ospita un numero impressionante di giovani e una quantità risibile di strutture per accoglierli, indirizzarli, seguirli e proteggerli. Siamo così sicuri che l’orda sia composta di invasori adolescenti? Oppure la massa di alieni ha i nostri tratti, fatti di mille piccole ipocrisie? 

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