Il Time loda la bellezza ma la vivibilità tocca a noi

di Piero Sorrentino
Lunedì 20 Marzo 2023, 00:00 - Ultimo agg. 06:43
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Quella delle classifiche è un’arte infame, perché per definizione ogni classifica è discutibile. C’è poco da fare: di qualsiasi cosa si faccia una classifica – dai cento film più importanti della storia del cinema alle venti migliori birrerie di Berlino – ecco che quell’elenco innescherà discussioni, critiche feroci, dibattiti infiniti, fino a sfociare in vere e proprie risse o rotture di millenarie amicizie. Perché è stato inserito questo e non quello? Come si giustifica l’assenza clamorosa di x e l’inspiegabile presenza di y? È per questo che qualsiasi tipo di graduatoria di merito va considerata per quello che è: un giochino divertente da prendere con le pinze. 

Vale anche, anzi soprattutto, per questa nuova classifica del settimanale americano “Time” che ha inserito Napoli al dodicesimo posto tra le mete mondiali più ambite per la stagione turistica del 2023, unico luogo italiano assieme a Pantelleria che la rivista ha valutato tra le migliori mete di viaggio di tutto il pianeta. Un riconoscimento che segue quello di un’altra testata statunitense, il New York Times, che l’anno scorso pure aveva messo la città nella lista delle 50 più belle del mondo. Vale, quell’atteggiamento scettico e leggermente distaccato, perché una città è qualcosa di infinitamente più complesso di un pezzo di carta numerato da 1 a 100, e se poi quella città si chiama Napoli ecco che il giochino un po’ ozioso delle classifiche scoppia come una bolla di sapone non appena lo si sottopone al collaudo della vita reale. 

E infatti, non per caso, le reazioni dei cittadini coprono un ventaglio che di solito trascolora dall’ironia alla disillusione fino alla vera e propria irritazione, perché sono i primi ad avvertire il bruciore lasciato dal morso beffardo di quando una gentile cronista americana arriva qui da noi - probabilmente soggiornando in un bell’albergo del lungomare con vista sul Golfo e spassandosela tre o quattro serate a rimpinzarsi lo stomaco di dolci e spaghetti con le vongole – a dirci quanto è bella Napoli e che fortuna abbiamo a esserci nati o viverci. Tuttavia in casi come questo va fatto un bagno di sano realismo e comprendere che una classifica come questa di “Time”, che è una vera e propria corazzata comunicativa, non potrà non avere un rinnovato impatto sulla percezione all’estero della città e una ricaduta ancora più forte sui già poderosi flussi turistici che la investono.

In altre e più brutali parole, è un’ottima pubblicità.

Articoli come questi vengono offerti da agenzie turistiche e tour operator nei pacchetti di viaggio venduti a quelle centinaia di migliaia di turisti europei e americani che costituiscono un’infaticabile falange di viaggiatori a spasso per il pianeta Terra in cerca di nuove esperienze. Perché la macchina del turismo funziona in modo tutto sommato semplice a colpi di immagini che si piazzano davanti agli occhi delle persone fino a spingerle a prendere un treno o un aereo per soddisfare i loro desideri, e Napoli è diventata – per dirla con il filosofo francese Gilles Deleuze – una “macchina desiderante” e desiderata. È un fatto che può destabilizzarci o contrarci ma è un fatto, e con i fatti si fanno i conti. Ma allora se dobbiamo tenere gli occhi aperti di fronte alla realtà non possiamo contemporaneamente non prendere atto che i centri storici delle più belle città italiane sono ormai stati ridotti, da quella marea di corpi in movimenti, a un’informe poltiglia turistico-commerciale. Così come non si può negare l’impassibile sfruttamento affaristico che sta divorando ogni giorno un frammento del nostro passato.

Di tutto abbiamo un’idea chiara dei responsabili: per la massima parte poteri locali, esponenti di gruppi di potere affaristico senza troppi scrupoli, comitati d’interessi lobbistici, ricettacoli di clientele politiche e finanziarie. Nel pentolone turistico c’è spazio per riempire le scodelle di molti, e poco importa se quel brodo, sfruttato in maniera così predona e insensata, prima o poi finirà. Se a operazioni giornalistiche come quella di “Time” vogliamo dunque assegnare una funzione pratica o produttiva, bisognerà probabilmente utilizzarle come una specie di certificato di sana e robusta costituzione. Come se stessero lì a indicarci la bellezza e il pericolo, le opportunità e i rischi. “Non ridere, non piangere, non maledire ma capire” per usare le parole di Spinoza.
 

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