Insulti alla legalità, ci mancava l'influencer

di Piero Sorrentino
Lunedì 7 Giugno 2021, 00:00 - Ultimo agg. 06:00
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Si dice che Napoli è di chi se la prende. Come per tutte le formule sintetiche, probabilmente si tratta di una espressione sferzante e semplificatoria, che tuttavia contiene un fondo doloroso e oggettivo di verità. Quando si dice che Napoli è di chi se la prende, si vuole intendere che la scalata alla città si può compiere a proprio piacimento e senza troppi affanni, che ci si può servire di pezzi di essa come a un self service, dove puoi comporre il vassoio del tuo pasto mettendo in fila quello che ti piace di più, basta scegliere tra le offerte del giorno, non troverai mai nessuno che ti dica: «No, questo non puoi farlo».

Una libertà, o forse sarebbe meglio parlare di anarchia, che affiora nelle cose grandi e piccole della città e che è capace di consegnarci immagini perturbanti. L’ultima di queste arriva dal lungomare cittadino, dove qualche giorno fa il traffico sulla Riviera di Chiaia è andato in tilt per le riprese di un video musicale con protagonista Rita De Crescenzo, signora del Pallonetto di Santa Lucia che, dopo alcuni trascorsi con la Giustizia, da qualche tempo ha fatto il botto sui social diventando in poco tempo un’ascoltatissima influencer. Una chilometrica limousine nera dai vetri oscurati e le fiamme disegnate sugli sportelli, musica assordante, un assembramento di comparse e curiosi senza mascherina o distanziamento, e via con le riprese. Folclore locale? Espressione deteriore del proletariato marginale? Elemento di sottocultura cittadina? Forse bisognerebbe fare maggior attenzione nel relegare questi aspetti in un angolo e sbarazzarsene così rapidamente, infilandoli nel cassone delle cose che ci disturbano e che vogliamo riporre presto in soffitta. 

Intanto perché i social network, che ci piaccia o no, stanno stravincendo qualsiasi tipo di battaglia comunicativa e culturale, e non possiamo non fare i conti con la loro straordinaria potenza. Una «storia» su Instagram di Rita De Crescenzo avrà cento, mille volte più pubblico di questo editoriale che state leggendo.

I giornali servono a informare, pensare e discutere. I social creano adepti, fan acritici e imitatori. Quello che viene raccontato su un quotidiano innesca pensiero critico; ciò che viene mostrato in un video trash induce all’ammirazione e spesso all’emulazione. Trasformare uno dei luoghi più belli della città in un set abusivo e improvvisato, senza alcuna autorizzazione, senza controlli, senza che nessuno verifichi (prima) o intervenga (dopo) consegna un messaggio esplosivo: «La prossima volta, potete farlo anche voi». È l’American Dream in salsa napoletana, è la materializzazione di quella che il filosofo Friedrich Nietzsche chiamava «volontà di potenza».

Come tanti altri, Rita De Crescenzo è l’inventrice di un’architettura simbolica alternativa capace di disegnare i confini di una città deteriore che ha la forza e il capitale comunicativo per spintonare ai margini tutti gli sforzi che si fanno per rendere Napoli una città normale. E se sul piano comunicativo le cose stanno così, c’è anche un secondo aspetto che a questo va a intersecarsi: il ruolo di chi governa la cosa pubblica. 

Se lo Stato, come è giusto che sia accaduto, ha fatto calare il suo pugno duro sugli altarini di camorra che punteggiano la città, è altrettanto doveroso che si mostri dove e quando deve mostrarsi, che sappia far rispettare le regole anche rispetto a quest’altro e diverso tipo di insulti alla legalità e al senso civico. Se ci sembra intollerabile la canonizzazione dal basso di esponenti della criminalità organizzata, deve bruciare allo stesso identico modo questo sputo perenne contro le regole. E da questo punto di vista è fondamentale che ogni cosa torni a essere considerata un campo di battaglia, che ogni elemento vada trattato allo stesso modo e con uguale fermezza. Che siano le folli riprese di un video per Tik Tok o che si tratti del perenne carnevale urbano fatto di tavolini selvaggi, chalet illegali, risse e accoltellamenti, folle incontrollate di giovani e adulti spesso sotto cocaina e alcool che ingolfano le serate dei baretti e che sta già prepotentemente tornando alla ribalta nell’eccitazione del dopo pandemia, bisogna moltiplicare gli anticorpi su tutti i fronti, senza distinguere tra i «figli» del divertimento e della spensieratezza e i «figliastri» della sottocultura figlia di ignoranza e di degrado.

Il vuoto non esiste, e lo spazio disponibile lo occupa chi mette in campo proposte e visioni. Ma che cosa sia lecito e accettabile in una città non è materia di contrattazione. È un gesto d’autorità del quale non bisogna avere timore. Sennò il rischio concreto, concretissimo, è quello di mettere fuori gioco, fuori tempo e fuori moda tutta quella Napoli che funziona come sistema immunitario contro queste aggressioni. Che, da maggioranza qual è, la si faccia sentire e autopercepire come una minoranza permanente, indecisa tra il vivacchiare in questo quadro o il lasciarsi andare definitivamente alla deriva, persa dentro la traversata di un deserto illimitato dove i pifferai magici della sottocultura suonano la melodia del loro prossimo video da milioni di followers. 

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