La città moderna è, per definizione, il suo sistema dei trasporti. Chiunque sia stato a Londra, a Parigi, a Mosca è tornato a casa portandosi dietro almeno una piantina delle rispettive metropolitane. Un fitto intrico di linee colorate che si intersecano ad angoli retti e acuti, imbrigliando la mappa urbana in un reticolo di vie lungo le quali si muovono le persone da fuori a dentro la città e viceversa. A differenza delle cosiddette linee di superficie, autobus e tram, che risentono tutti gli effetti di sistemi di scorrimento misti, dove i mezzi pubblici devono contendere, spesso palmo a palmo, accessi e corsie ad auto e pedoni, in uno spazio largamente affidato alla negoziazione degli uomini, la metropolitana realizza del moderno alcuni requisiti altamente distintivi, la calcolabilità del tempo e l’elevata automazione.
Napoli ha affidato alla sua metropolitana più di un mero compito funzionale. Ne ha voluto fare una veste sontuosa, un’attrazione turistica, il simbolo stesso della sua trasformazione in una chiave capace di tenere insieme servizio ed estetica. I risultati sono stati sorprendenti. Per una città che era entrata negli anni Novanta con una linea tranviaria rapida che avrebbe dovuto portare i tifosi allo stadio dei campionati del mondo e che invece era rimasta a metà con una macchina scavatrice bloccata sotto terra, l’inaugurazione delle cosiddette stazioni dell’arte lasciò sbalorditi. Era un progetto che veniva da lontano che la città portava a compimento. Sembrava ed era la migliore espressione del cambiamento napoletano. Un modello efficiente che teneva brillantemente insieme capacità di progettazione, gestione manageriale e determinazione politica.
Se la città degli anni Ottanta era rimasta per un decennio avvolta in una selva di tubi innocenti e di ponteggi a coprire le facciate dei palazzi lesionati dal terremoto, la metropolitana di Napoli era il simbolo della rinascita. La stagione bassoliniana se ne fece giustamente un merito.
Non è stata tuttavia una stagione di soli guadagni. Al contrario, il suo prezzo è stato ed è elevatissimo. Per decenni, la città è stata e in parte è tuttora un cantiere gigantesco a cielo aperto. Scavi per stazioni, punti di accesso, canali di aerazione hanno tormentato per quasi un trentennio le strade e le piazze della città, imponendo al fragilissimo tessuto urbanistico, ai palazzi e alle persone che li abitano una quantità esorbitante di carichi, sollecitazioni, rumore, rallentamenti. La proliferazione arbitraria dei lavori, il moltiplicarsi senza ragione dei cantieri è diventato alla lunga non più il segno di una città operosa, impegnata in un lavoro di ammodernamento strutturale. Ben presto i lavori per la metropolitana sono apparsi per quello che erano un modo per impegnare fondi, nella evidente assenza di ogni progettualità.
Assunta in modo ossessivo come la figura stessa della modernità napoletana, la metropolitana è diventata fatalmente il terreno di verifica della sua fragilità. Oggetto di enormi investimenti, l’impressione che se ne ricava ad utilizzarla è quella di un sistema abbandonato a sé stesso. Povero di risorse finanziarie e di cultura manageriale. Un sistema, in altri termini, che a dispetto della sua sontuosa ostentazione, manca con tutta evidenza di quegli elementi di manutenzione ordinaria che sono necessari non solo ad apparire ma a funzionare. Pochi treni, vecchi, un fondo riottoso di conflitti sindacali mai veramente risolti e destinati ad affiorare periodicamente, così da far saltare i fragilissimi equilibri su cui si fonda la quotidianità del sistema dei trasporti cittadino. I sogni della città moderna naufragano in questo modo su un terreno che del moderno è un altro elemento chiave, la manutenzione appunto. L’applicazione quotidiana, ingrata ma necessaria, al buon funzionamento dell’intero apparato. Estranea alla dimensione gratuita dell’ostentazione, questa manutenzione è una funzione di componenti delicate come la chiarezza dell’indirizzo politico dell’ente che controlla l’azienda, in questo caso il Comune di Napoli, nonché la sua capacità di assicurare la provvista dei mezzi finanziari necessari ad un esercizio efficace del servizio. Accanto a questi elementi, il management, un gruppo dirigente che integri competenze tecniche e gestionali in grado di organizzare il servizio ai cittadini.
Accade così, che la metropolitana, che della città moderna è il sistema basilare di circolazione, si fermi in continuazione e per far viaggiare i suoi treni in orario, alleggerendo in questo modo la pressione nelle principali stazioni, sia costretta ad accorciare i percorsi. Quando invece non succede che il sistema, più semplicemente, va in tilt e tutto si ferma. Questo naturalmente a scapito dei viaggiatori, che sono in prevalenza lavoratori e studenti, uomini e donne che mettono in tensione il sistema urbano, facendo scorrere nelle vene della città volontà, intenzioni e desideri, tutto un bagaglio di energie psichiche che ovunque fanno il tono della metropoli e che a Napoli invece sono fatalmente costrette a ristagnare nei canali di un sistema pieno di intoppi, ostruzioni e slabbrature.
Ecco allora che se la metropolitana doveva essere il volto nuovo di Napoli, ancora una volta, come purtroppo accade spesso nella storia della città, il morto ha afferrato il vivo trattenendolo e trascinandolo con sé.
Se il sogno di modernità si infrange sui trasporti
di Adolfo Scotto di Luzio
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Domenica 20 Settembre 2020, 00:00 - Ultimo agg. :
08:00
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