Disastro-trasporti, dalla rabbia alla frustrazione dei cittadini

di Piero Sorrentino
Lunedì 6 Febbraio 2023, 00:00 - Ultimo agg. 06:00
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L’aspetto probabilmente più doloroso di quel disastro perenne che è il trasporto pubblico napoletano non sta solo nel danno provocato agli utenti, ma si annida in un sentimento ben più profondo di frustrazione causato dalla consapevolezza che non esiste letteralmente nessuno che paghi per quello che accade.

È un meccanismo psicologico molto pericoloso, perché fa crescere la coscienza di poter fare ciò che si vuole, da un lato, e di non poter fare niente perché le cose vadano altrimenti, dall’altro. I dirigenti si fanno le spalle ancora più larghe a vedere che continuano a stare saldamente al loro posto. Gli utenti si fanno invece piccoli e timorosi a verificare che non accade un bel nulla a chi è colpevole. Gli uni e gli altri – ognuno sui rispettivi fronti – si guardano in cagnesco. Chi ha potere scarica il famoso barile su tutti gli altri, dagli utenti che non pagano il biglietto ai lavoratori dell’azienda. Chi usa i mezzi pubblici cittadini affida ai propri profili social o alla posta elettronica la propria rabbia, sapendo che nulla continuerà ad accadere. 

Il risultato è che, in massimo grado, ormai l’esercizio di un diritto fondamentale di un cittadino – potersi spostare liberamente senza dover ricorrere al mezzo privato – poggia sulla rimozione sistematica e di massa delle cause fondamentali che lo determinano. È la cancellazione di un principio logico che sembra incredibile sia stato eliminato: il fatto cioè che determinati risultati siano frutto di altrettanto determinate cause. Fermate cancellate, metropolitane che si fermano o limitano la loro corsa da un momento all’altro, collaudi di treni effettuati negli orari di servizio e non in quelli notturni, funicolari al palo da mesi e chissà per quanto tempo, orari di attesa incalcolabili alle pensiline degli autobus o alle stazioni della metro. 

Sulla costanza e sulla permanenza di questi disservizi è calato ormai una specie di principio di indifferenza, che non dà spiegazioni, non motiva, non prova a rimediare.

I capi appaiono come chiusi in una cittadella fortificata, da cui ogni tanto, affacciati a una finestra mezza aperta, borbottano che non è colpa loro ma del destino cinico e baro. 

Gli schiavi guardano alle mura del Castello emettendo qualche suono inarticolato di protesta. E la massima applicazione di questo principio d’indifferenza coincide con la massima realizzazione possibile del consenso. Ossia, dove più c’è indifferenza, lì c’è più consenso, e l’ampliamento del consenso, a sua volta, favorisce l’estensione e il radicamento dell’indifferenza.

Un consenso – oppure un silenzio-assenso, che è lo stesso, anzi no, che è peggio – che a quella dirigenza viene consegnato dalla classe politica e amministrativa che pure potrebbe provare non solo a fare qualcosa, ma almeno a dire qualcosa. A fare cioè quello deve fare. Amministrare, scegliere, decidere, dare indicazioni, prendere provvedimenti. Invece ogni volta, a quella massa grigia di utenza umiliata e offesa si offre soltanto un palinsesto futuristico o, meglio, utopistico di scenari che verranno: nuovi treni, nuove linee, nuovi tempi di attesa rivoluzionati, nuova modalità di comunicazione. 

Il tutto con espressioni enfatiche e annunci trionfanti che – a guardare più da vicino, nel derelitto giorno per giorno di chi usa i trasporti pubblici di Napoli – hanno sul volto un colorito che assomiglia di molto al pallore del rigor mortis. 

Il risultato finale di questo intreccio di indifferenza e immobilismo è che Anm non è più un’azienda che offre un servizio ma una specie di welfare perverso, che esiste e non può che continuare a esistere così solo per garantire la perpetuazione dello stato di cose esistente. La concessionaria di servizio del trasporto pubblico locale di Napoli, in altre parole, è niente più che una macchina – questa sì, che funziona a pieno regime, che passa a orari puntualissimi – di autoperpetuazione di sé stessa e della propria dirigenza, intoccabile e inattaccabile, indiscutibile e assoluta. 

I principi oppositivi e di controllo – assessori, sindaci, responsabili politici – si sono dissolti come una pastiglia di “Alka Seltzer” nel bicchiere. 

Portate pazienza ancora un po’, vedrete come tutto prima o poi cambierà, è l’assordante e unico messaggio che riescono a consegnare a una cittadinanza sfiancata e ai turisti smarriti. 

Una comunicazione quasi apocalittica nel senso originario della parola, quello di svelamento delle cose future. Eppure l’unica Apocalisse che si vede all’orizzonte, non tra cinque o dieci anni ma adesso, non ha le vesti terrificanti del libro biblico. 

Assomiglia piuttosto a un deserto, a una immensa distesa arida, dove venti poderosi fanno volare granelli di sabbia e covoni di paglia lungo le pensiline degli autobus e le banchine della metropolitana. 

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